Sarà un Capodanno più cupo del previsto per Giorgia Meloni. La vicenda di Cecilia Sala che lei segue da vicinissimo, soprattutto attraverso il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, è diventata davvero complessa. Destinata a risolversi non in pochi giorni. Per come si sono messe le cose – si fa osservare in ambienti parlamentari – la trattativa potrebbe anche essere relativamente lunga, certo non è un questione di ore. La giornalista purtroppo trascorrerà i prossimi giorni nel carcere di Evin, nella capitale iraniana, mentre le autorità italiane stanno facendo tutto il possibile, anche in rapporto con gli americani, per arrivare a una soluzione positiva della vicenda.
Per la presidente del Consiglio è un problema che non ci voleva. Naturalmente il governo non porta alcuna responsabilità di quanto sta accadendo a Cecilia Sala e anzi può contare sul sostegno incondizionato di tutto il mondo politico. Ma se la questione non dovesse chiudersi in tempi brevi l’opinione pubblica potrebbe in qualche modo innervosirsi, e questo non sarebbe certo d’aiuto alla classe politica (e in particolare al governo).
Dunque la detenzione di Sala a Teheran non può non impensierire la premier, che già pregustava un fine anno tranquillo in famiglia dopo aver chiuso con le buone e con le cattive il capitolo della legge di Bilancio.
In effetti la maggioranza, anche grazie allo strozzamento della discussione in Senato, ha superato lo scoglio senza fibrillazioni interne malgrado sia noto a tutti il nervosismo causato dalle mire di Matteo Salvini sul Viminale. Ci si chiede fino a che punto il capo leghista sia disposto a tirare la corda: con ogni probabilità, fino alle estreme conseguenze, cioè alla minaccia – o al bluff – di fare cadere il governo, con una sorta di “Papeete in minore”. Allora chiedeva pieni poteri, adesso “solo” il ministero dell’Interno.
Il fuoco di fila alzato da Meloni e poi da Antonino Tajani non ha spaventato Salvini, convinto di poter risollevare la Lega, e la sua forza personale in un partito dove si è ormai aperta ormai una battaglia politica con il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo, solo dalla postazione del Viminale: altro che Ponte di Messina. L’assoluzione di Palermo lo ha ringalluzzito e un Salvini su di giri può diventare una mina vagante. Meloni sa bene che per lei sarà come una mosca fastidiosa che ronzerà nelle sue orecchie, ma non ha ancora un piano per annichilire i propositi del vicepremier. Per lei il no al rimpasto è granitico. A meno che Matteo Piantedosi non si convinca a correre in Campania qualora davvero Vincenzo De Luca portasse la sua Regione al voto nella prossima primavera (ma è molto difficile che l’attuale inquilino del Viminale si convinca a fare questo sacrificio).
Ovviamente l’attivismo di Salvini sta seminando grande irritazione dentro Fratelli d’Italia, un partito che dopo due anni di governo appare sempre pronto a polemizzare come se fosse ancora il partitino di opposizione che era, e anche questo della sostanziale immaturità del suo partito può essere per Meloni un problema.
La polemica di Matteo Renzi contro il «camerata» Ignazio La Russa ha scatenato di tutto e di più: è un nervo scoperto. Vedremo tra poco, il 7 gennaio, se nell’anniversario dei fatti di via Acca Larentia si ripeteranno le polemiche sulle manifestazioni e le presenze di Fratelli d’Italia. A pochi giorni dall’annuale commemorazione il clima comincia a essere teso e ci sono appelli al Viminale per vietare la manifestazione. Eventuali polemiche non sarebbero una buona cosa per la presidente del Consiglio, che il 9 terrà finalmente quella che dovrebbe essere la conferenza stampa di fine anno ma che con lei è diventata d’inizio anno: si tratta del primo vero incontro con i giornalisti da un anno a questa parte. E se non ci sarà timore né accondiscendenza, per Giorgia Meloni, caratterialmente poco incline a mordersi la lingua, potrebbe essere un esame non facile da affrontare, in diretta tv.