Contro tutto e tuttiIl linguaggio di Trump sta creando un nuovo populismo antidemocratico

Minacce, apocalittismo e richiami religiosi: così il lessico trumpiano diventa un’arma politica globale. In una società segnata dalla crisi delle istituzioni e dalla superficialità mediatica, il messaggio del presidente è un chiaro attacco alla democrazia liberale

AP/Lapresse

Messaggi minacciosi, carichi d’odio, intercalati al costante richiamo di Dio, alla sua etica da Vecchio Testamento, un clericalismo di tipo nuovo interpretato da chi si ritiene l’unto del Signore, e poi richiami costanti ai valori tradizionali riadattati al presente, a credenze popolari sulle quali si innesta un’identità che è l’opposto della società aperta di popperiana memoria, una pessima copia della carta d’identità degli Stati Uniti. Donald Trump ha elevato il populismo tradizionale a narrazione calata in una cortina di ferro, espressa con toni apocalittici, divulgata con dispendio di mezzi sui social. La rete è stata utilizzata diffusamente prima per debellare gli avversari all’interno del Partito repubblicano, in seguito per regolare i conti con i democratici. Non va escluso che venga usata in futuro per interferire nelle elezioni di Paesi liberi o nelle decisioni che quei Paesi dovranno assumere. 

Il populismo, a ben vedere, c’è sempre stato, in Europa, oltreoceano e in ogni terra emersa che ha conosciuto il confronto elettorale. La novità: le dinamiche impresse dal presidente americano a un sistema le cui organizzazioni politiche sono in crisi, in cui regna la superficialità di giudizio, con istituzioni rappresentative in palese difficoltà, nel bel mezzo di una rivoluzione tecnologica sconfinata, hanno il potere di far saltare il banco. Temo abbia ragione Massimo Teodori quando scrive che «Trump è un’altra cosa, è si un demagogo ma la sua vera cifra populista è il rifiuto della democrazia liberale». 

A differenza di ciò che Marx sosteneva, la storia si ripete, eccome se si ripete. Per i demagoghi di ogni tempo la democrazia è sempre stata una camicia di forza da cui è meglio liberarsi il prima possibile. Non importa da dove proviene Trump, non importa che sia super ricco, dunque élite della élite, è invece decisivo che dichiari di eseguire la volontà popolare, pettinarne gli istinti. In questa operazione è più credibile di altri se è vero, com’è vero, che sono state tante le classi dirigenti, Italia compresa, che hanno giocato con l’antipolitica per giovarsene salvo poi restarne gabbate. 

Nella galleria dei nemici non si contano solo gli avversari politici, ma scienziati, artisti, sostenitori dei diritti civili, atei e via di seguito, e ci si avvale, perché il messaggio penetri in profondità, non solo di risorse economiche eccezionali, ma anche, se non soprattutto, della debolezza dei media. Ha scritto David Allegranti che la forza di Trump «nasce nel solco della sfiducia verso le istituzioni e che il suo populismo è una forma iper realistica di antipolitica». Aggiungo io: in una situazione dove imperano disinformazione e superficialità. Sommato a fattori strutturali che segnalano la nascita di una società con caratteristiche del tutto diverse da quella su cui tramonta il Novecento, anche gli Stati Uniti devono aver conosciuto l’uno vale uno di impronta grillina.

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