Salvate il soldato MatteoSalvini rischia di rovinare la festa di Meloni, e di perdere la Lega e il Nord

Il vicepremier chiederà agli alleati di dare l’ok a candidare uno del suo partito in Veneto. Ma non è detto che gli verrà concesso, e non è detto nemmeno che lui sia il leader giusto per guidare il Carroccio nelle regioni in cui è più forte

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Di tutto ha voglia Giorgia Meloni tranne che occuparsi della grana del Veneto, cioè della successione di Luca Zaia. La premier vola alto, gira per le terre arabe, ha una lista di appuntamenti internazionali lunga un chilometro. Deve capire come capitalizzare concretamente quel rognosissimo rapporto privilegiato con Donald Trump, che potrebbe presto trasformarsi non in un ponte benefico ma in un vassallaggio divisivo per l’Europa, senza coglierne i frutti positivi per la piccola Italietta. Mettersi lì a discutere con Matteo Salvini, commissariato dai governatori leghisti del Nord, innanzitutto da quello Veneto, è per lei l’ultima delle preoccupazioni. Magari una chiacchierata con il suo vicepremier, e con quello di Forza Italia Antonio Tajani, se la farà in un ritaglio di tempo, in coda a un vertice pieno di altri argomenti.

Ma non vede l’urgenza, spiegano fonti di Fratelli d’Italia, di battagliare e dare una risposta a Matteo Salvini, che ieri è uscito dal consiglio federale del Carroccio con il preciso mandato di chiedere agli alleati di centrodestra di dare l’ok in Veneto a un candidato leghista. Ormai è scontato che il terzo mandato non ci sarà e quindi l’uscente non potrà succedere a se stesso. Molto probabilmente in Veneto, per una serie di incastri temporali, e per dare a Zaia il contentino di accendere la fiaccola dei Giochi Olimpici invernali di Cortina, si voterà non in autunno, come in Campania, Puglia e Toscana, ma nel 2026. «È un’era geologica in politica», dicono a via della Scrofa, sede di Fratelli d’Italia.

È vero, come è stato scritto ieri in una nota della Lega dopo il consiglio federale, che il Veneto è un modello di buon governo e che “squadra che vince non si cambia”. Appunto, osservano Fratelli d’Italia, non deve cambiare la squadra, cioè il centrodestra, senza escludere a priori una candidatura che non sia per forza leghista. Una volta assodato che il migliore non può correre, perché non ci sarà il terzo mandato per Zaia, non è escluso che un buon cavallo da corsa si trovi dentro Forza Italia o Fratelli d’Italia. Per i colonnelli di Meloni non può passare il principio che in tutte le regioni del Nord il miglior candidato è comunque della Lega, come se gli altri fossero tutti degli asini. Ma dove sta scritto?

Come è chiaro, sarà banale dirlo, la questione è pesantemente politica perché in ballo non c’è solo il Veneto, ma in prospettiva tutto il Nord, dove il partito meloniano ha surclassato, alle politiche e alle europee, il partito di Alberto da Giussano.

Salvini è nei guai. Si trova in una morsa. Deve tenere in piedi il governo (per giunta in un ministero che non gli porta voti ma solo guai sui binari, sognando di notte il Viminale), e a bada i potenti governatori della Lombardia, del Veneto e del Friuli. Commissariato proprio da loro alla vigilia del congresso (ancora non convocato, ma che dovrebbe tenersi in primavera) che dovrebbe confermarlo. È guardato a vista da Meloni, la quale obtorto collo deve tenerlo a galla per non trovarsi un terremoto dentro un partito alleato che conta un numero non indifferente di parlamentari. Deputati e senatori che hanno le loro truppe nel territorio dove i governatori (soprattutto Zaia) hanno una presa elettorale molto superiore a quella dello stesso partito di appartenenza.

I portati di voti e di potere nel Veneto, nella raffica di interviste rilasciate in questi giorni, ripetono un concetto che non ha nulla di ideale: la nostra è una questione identitaria e di sopravvivenza. Se Salvini non è più in grado di rappresentarli, loro non sono disposti ad affondare con lui. La politica sono rapporti di forza, come in guerra. Tanto per fare un esempio concreto, in Veneto la galassia elettorale di Zaia – sommando la lista con il suo nome a quelle amiche fatta di civici, sindaci, consiglieri, amministratori vari, imprenditori che finanziano e clientes – in tutte le prove elettorali supera il quaranta per cento. Al netto della lista ufficiale della Lega.

Ecco allora il ricatto che viene messo sul tavolo di Meloni: se non cede, il centrodestra si rompe e correrà un avatar di Zaia. Un avatar destinato a vincere perché, attenzione, sta qui il veleno del ricatto: la legge regionale, a differenza del sistema elettorale dei Comuni, prevede che vince chi prende un voto, un solo voto più degli altri candidati concorrenti. Non è necessario ottenere il cinquanta per cento più uno al primo turno (alle regionali non c’è il ballottaggio tra l’altro).

Ora, immaginatevi Salvini che porta questa “buona novella” a Meloni, tra un vertice internazionale e l’altro, mentre il governo e l’Europa devono decidere come comportarsi di fronte alla sventura Trump. Mentre si continua a sparare in Ucraina e la produzione industriale italiana non smette di crollare. E i treni si bloccano. Tutto avrebbe voluto fare, l’ex Capitano, pure salire su una nave delle ong e andare a salvare migranti in mezzo al mare, ma non portare questo ricatto velenoso alla premier, la quale, fumantina com’è, potrebbe mandarlo a quel paese.

Ma la regola numero uno in politica, e non solo, è che, quando non hai una soluzione, è meglio prendere tempo. Tanto in Veneto si vota nel 2026. Zaia si goda ancora un anno sulla sua amata poltrona e i Giochi invernali. Intanto, per salvare il soldato Matteo, gli viene messa la maschera d’ossigeno.

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