Con il voto segreto sulle pregiudiziali di costituzionalità, presentate da Fratelli d’Italia e Lega, riprenderà alla Camera l’esame del testo unificato delle proposte di legge in materia di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi legati al sesso, al genere, all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
Quello che è più conosciuto, anche se non del tutto correttamente, come pdl contro l’omotransfobia e la misoginia o anche pdl Zan, dal nome del relatore, dovrebbe essere approvato giovedì. A farlo pensare il calendario d’Aula, fissato dal presidente Roberto Fico, che prevede, per le giornate di martedì, mercoledì e giovedì, un’eventuale prosecuzione notturna fino a mezzanotte.
Non dovrebbero costituire un problema – ma il condizionale, mai come in questo caso, è d’obbligo – anche perché si andrà a un loro contingentamento, i circa 800 emendamenti presentati dalle opposizioni, che, soprattutto nel caso di Fdi e Lega, hanno una chiara finalità ostruzionistica. Si era già assistito a questo teatrino tre mesi fa, quando meloniani e salviniani avevano presentato in Commissione Giustizia 975 emendamenti al testo unificato, poi approvato il 28 luglio.
Un ostacolo per nulla insormontabile, dati i numeri che i partiti di maggioranza (Italia Viva, LeU, M5s e Pd) hanno alla Camera e gli emendamenti, sette in tutto, sui quali gli stessi, ieri mattina, hanno trovato pieno accordo sì da «mantenere pienamente efficace – queste le parole di Alessandro Zan – tutto l’impianto del provvedimento approvato in Commissione Giustizia».
La vera novità degli emendamenti di maggioranza consiste nell’estensione delle previsioni degli articoli 604 bis e ter del Codice penale anche alle violenze e discriminazioni legate alla disabilità della vittima.
Sono state così accolte le richieste avanzate da molte associazioni di persone con disabilità, di cui si è fatta interprete la deputata di Italia Viva, Lisa Noja. Tre dei quattro complessivi emendamenti sul tema la vedono infatti come prima firmataria.
Ciò comporterà, dunque, una modifica al titolo, che recherà “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi legati al sesso, al genere, all’orientamento sessuale, all’identità di genere e alla disabilità”, ai commi 1 del primo e secondo articolo – quelli, cioè, di carattere penale – nonché del quarto (il relativo emendamento è a prima firma del deputato di LeU, Federico Conte).
Al riguardo la deputata Noja dichiara a Linkiesta: «Sono molto contenta perché con l’inclusione della disabilità si completa un percorso e il pdl Zan diventa davvero un testo che tutela tutte le fasce vulnerabili. Ciò è pienamente in linea con lo spirito del progetto di legge, che, contrariamente a quanto dicono le destre, ha come obiettivo di portare avanti una cultura dell’inclusione e del rispetto e di proteggere tutte le categorie più esposte a discriminazioni e violenze».
Di particolare rilievo poi gli emendamenti formulati in ottemperanza ai pareri della Commissione Affari Costituzionali e del Comitato per la Legislazione di Montecitorio sulle definizioni di sesso, genere, identità di genere, orientamento sessuale e sulla riscrittura dell’articolo 3, relativo alla tutela del diritto costituzionalmente difeso della libera manifestazione di pensiero. Articolo, da più parti giustamente giudicato pleonastico e indicato anche come “salva idee”, che si dovette però inserire in luglio a fronte delle richieste dell’area cattolica di Italia Viva, Pd e M5s.
D’altra parte proprio quello della libertà d’opinione, che sarebbe conculcata dal pdl Zan, è stato e continua a essere l’argomento di battaglia delle destre, dei movimenti della variegata galassia dei pro family e pro life e, anche, della presidenza della Cei contro il provvedimento, bollato come legge liberticida dai vari Salvini, Pillo, Meloni, Gandolfini e De Mari.
Ma, come era già evidente nel primitivo testo unificato e poi nell’attuale articolo 3, alias salva idee, il pericolo è del tutto inesistente. Sulla base dell’emendamento, di cui è primo firmatario il cattodem Alfredo Bazoli, l’articolo in questione è stato così riformulato (in grassetto le parti emendate o integrate): «Ai sensi della presente legge, restano salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti».
C’e poi l’emendamento premissivo all’articolo 1: «1. Ai fini della legge penale:
a) per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico;
b) per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso;
c) per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi;
d) per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione».
In realtà, come per la libera espressione di convincimenti e opinioni, anche l’inserimento delle quattro definizioni all’interno del testo è considerato da molti non necessario.
Come, infatti, dichiarato a Linkiesta da Elettra Stradella, professoressa associata di Diritto pubblico comparato e presidente del Comitato unico di Garanzia dell’Università di Pisa, si tratta di «espressioni sufficientemente chiare e univocamente interpretabili. A dirla tutta, risultano meno chiari i concetti di razza ed etnia, presenti all’interno delle stesse disposizioni legislative che verrebbero modificate (il primo peraltro, com’è noto, inesistente, tanto che addirittura da più parti è stato proposto, negli ultimi anni, di cancellarlo dal testo costituzionale)».
Il discorso vale, soprattutto, per “identità di genere”, contestata come lesiva della dignità delle donne da una parte minoritaria e rumorosa del movimento femminista, che continua a usare il solito argomento dei tweet di J.K. Rowling, attaccata sui social soprattutto da persone trans e della comunità Lgbi+.
Ma l’espressione è stata invece ampiamente difesa, ad esempio, dal Coordinamento nazionale dei Comitati Snoq e dalle firmatarie delle varie lettere aperte comparse su L’Avvenire, La Repubblica e Il Manifesto (quasi 400 complessivamente).
Sempre la professoressa Stradella spiega che con la sentenza n. 221 del 2015 della Corte costituzionale «il termine “identità di genere” diventa un concetto giuridico. Nella sentenza n. 180 del 2017 la Corte, richiamando il suo precedente del 2015, rileva come “l’aspirazione del singolo alla corrispondenza del sesso attribuitogli nei registri anagrafici, al momento della nascita, con quello soggettivamente percepito e vissuto costituisca senz’altro espressione del diritto al riconoscimento della identità di genere”. Se dunque l’identità di genere è conosciuta e riconosciuta dalla Corte costituzionale, non ritengo opportuno rimuovere questo riferimento dalla legge, come alcuni/e hanno proposto, essendo essa evidentemente configurabile come l’identificazione che il soggetto opera di sé dal punto di vista del genere, quando tra questa identificazione e il sesso anagrafico sussiste una discrasia».
Sulla posizione contraria di alcune femministe si era già espressa in maniera ironica Maria Laura Rodotà: «Sono spaventata da questo risentimento senza fondamento. Secondo me ha ragione Rebecca Solnit, a scrivere che “le donne trans non sono un pericolo per le donne cis, ma noi siamo una minaccia per loro se ne facciamo delle fuoricasta”. Detto questo, non riesco a capire Rowling, né le presunte femministe italiane che criticano la legge sull’omotransfobia. Come se le donne trans svalutassero il loro apparato originario, boh».