Alla lunga anche il Teflon perde le sue proprietà antiaderenti. Figuriamoci dopo dieci anni fatti di frugalità, rigore, biciclettate istituzionali, ma anche scandali e polemiche sapientemente evitati nel cuore dei Paesi Bassi. E allora si finisce per scivolare su una buccia di banana tutto sommato surreale, come capitato a Mark Rutte – il resistente “Teflon Mark” della politica olandese -, in corsa per guidare il quarto governo consecutivo ed ereditare da Angela Merkel, a settembre, la palma di leader più longevo d’Europa. Un obiettivo che sembra adesso sempre più un miraggio, dopo che Rutte è scampato per pochissimo alla sfiducia in Parlamento, senza riuscire a evitare una parallela mozione di censura.
A mettere in forse le ambizioni del premier uscente, che ha condotto il suo VVD, centrodestra moderato, al successo nelle elezioni del 17 marzo, è stata una paparazzata della lista provvisoria dei ministri, zoomata dall’obiettivo di un fotografo dell’Anp nel pieno dei negoziati per la formazione del nuovo esecutivo di coalizione: lì, nero su bianco, c’era il nome di un papabile ministro scomodo, inviso allo stesso Rutte e pure euro-critico, da spostare da un dicastero a un altro. Pieter Omtzigt è il Paolo Savona dei Paesi Bassi: l’uomo su cui tutto sta(va) per crollare (erano gli albori del Conte 1 gialloverde, quando il destino politico dell’Avvocato del Popolo rischiava d’incagliarsi prim’ancora del decollo sul nome inamovibile dell’economista sovranista).
Met CDA-onderhandelaar @WBHoekstra is besproken: ‘Positie Omtzigt, functie elders’, blijkt uit formatiedossier @ollongren, zichtbaar voor ANP-fotograaf pic.twitter.com/jyqyVmNSew
— Jaap Jansen (@JaapJansen) March 25, 2021
La vicenda olandese, però, ha ancora qualche sfumatura in più: interrogato dalla stampa a proposito del nome a sorpresa di Omtzigt nel totoministri, Rutte aveva escluso di aver mai parlato dell’ingresso in squadra del suo rivale; una versione confermata in una nota inviata alla Tweede Kamer (la Camera Bassa) anche dalle due negoziatrici di maggioranza che stavano conducendo le trattative per la formazione dell’esecutivo. La pubblicazione del verbale dei colloqui, però, ha inchiodato Rutte: la discussione su Omtzigt c’era effettivamente stata. Il premier è stato accusato di aver mentito, ma lui se l’è cavata con una parziale marcia indietro, dicendo di non aver ricordato la parte di conversazione a proposito dell’esponente di punta della CDA, lo stesso partito del “falco” Wopke Hoekstra, ministro delle Finanze uscente e fedele alla linea del rigore sui conti pubblici.
Per la seconda volta in meno di tre mesi su Omtzigt rischia di impantanarsi il proseguimento della carriera politica di Rutte. Il democristiano, infatti, era stato il grande accusatore del premier e del governo (di cui pure la sua CDA era parte) a gennaio, quando svelò al grande pubblico lo scandalo dei sussidi che travolse la maggioranza e lasciò l’esecutivo in carica solo per l’ordinaria amministrazione. Una ventina di famiglie erano state incolpate dal Fisco per aver ricevuto illegittimamente delle sovvenzioni per l’infanzia e condannate a ripagare i contributi ricevuti: procedimenti rivelatisi in seguito ingiustificati e che hanno messo anche alla luce criteri di selezione per i controlli basati su una certa profilazione razziale (molti nuclei presi di mira avevano almeno un genitore di origine straniera).
Nonostante il dottorato all’European University Institute di Fiesole – il gotha dell’accademia sui temi Ue -, Omtzigt è la testa d’ariete dell’euroscetticismo in casa CDA: critico delle politiche espansive della Banca centrale europea, ancora qualche mese fa proponeva la possibilità per un Paese di chiamarsi fuori programmi di spesa comune reputati poco interessanti. Oggi, dopo l’integrità dimostrata nel portare alla luce lo scandalo dei sussidi è accreditato di un forte successo personale nel Paese: se mai decidesse di fondare un suo partito sarebbe accreditato di una ventina di seggi e del terzo posto alla Camera, secondo i sondaggi. Ma i tempi regolamentari della campagna elettorale si sono appena conclusi: secondo vari commentatori è stata pure tra le più noiose e prevedibili d’Europa. Gli olandesi hanno allora recuperato vivacità e brivido della sorpresa nei supplementari, quelli destinati a trovare la quadra per il governo. È allora che è arrivato l’autogol di Rutte, su un’azione confusionaria all’interno dell’area di rigore.
Geert Wilders, il leader dell’ultradestra dalla chioma platinata, ne ha approfittato per presentare una mozione di sfiducia al premier, in grado di far calare per sempre il sipario sull’avvenire di Rutte. È cominciata così la Passione parlamentare del premier, conclusasi alle prime ore dell’alba di venerdì, quando il pallottoliere della Tweede Kamer ha salvato il premier, seppur per una manciata di voti: con tutte le opposizioni compatte per il sì – da sinistra a destra -, a salvare Rutte è stato il sostegno non solo della sua VVD, ma anche degli alleati di D66 e CDA. “Teflon Mark” ha retto ancora, ma stavolta potrebbe essersi ammaccato irrimediabilmente. Tutti i gruppi parlamentari tranne il suo hanno infatti votato una censura dell’operato del premier, alternativa più soft alla sfiducia presentata dai leader di D66, Sigrid Kaag, e CDA, Hoekstra, per non far passare inosservato il caso.
Per capire se sarà il bacio della morte da parte dei due alleati bisognerà aspettare dopo Pasqua, quando la saga politica riprenderà, e con essa le trattative fra i partiti. Se D66 e CDA avessero votato a favore della sfiducia presentata da Wilders l’effetto politico sarebbe stato dirompente. L’operazione è invece stata più sottile: adesso che nulla più rimbalza sulla superficie di “Teflon Mark”, Kaag e Hoekstra provano ad accompagnare il premier alla porta. Optare per una censura è stata infatti una mossa simbolica, ma che renderà bizzarro se non strano per quegli stessi partiti sostenere un ritorno di Rutte alla premiership.
Ultima fermata per l’inossidabile Mark? Rutte gioca la carta della personalità e ricorda di aver guidato il Paese attraverso varie crisi («da quella finanziaria a quella dei migranti, fino alla pandemia, oggi»), ma i media olandesi dubitano che l’uscente possa sopravvivere a questa nuova sfida ed essere incaricato dal re di formare un nuovo governo. Politicamente, c’è D66 che scalpita: il partito di centrosinistra europeista di Kaag, arrivato secondo alle elezioni, ha infatti fatto registrare un’importante impennata di consensi.
Il VVD di Rutte resta però la principale forza della coalizione e continuerà con buone probabilità a reclamare per sé la guida del governo: la numero due del partito, Tamara van Ark, è però appena diventata esploratrice per conto di VVD nei colloqui per la formazione dell’esecutivo (dopo le dimissioni delle precedenti negoziatrici, travolte dall’Omtzigt-gate) e sarebbe quindi indisponibile. Nelle retrovie aspetta Stef Blok, ministro degli Esteri uscente. Eppure c’è da scommettere che gli occhi di tutti saranno su Omtzigt. Riuscirà a ottenere lo scalpo dell’arci-nemico Rutte e a sopravvivergli al governo?