Battaglia navaleCos’è l’isola di Jersey e perché Francia e Regno Unito litigano per i loro pescatori

La maggiore delle isole del canale della Manica si trova a 22 chilometri dalle coste della Normandia, ma è sotto controllo britannico da ottocento anni, anche se non ne fa formalmente parte. Un litigio fra i pescatori locali e quelli francesi sta causando un incidente internazionale. Se si esclude uno speronamento tra motoscafi, l’unico colpo di questa surreale giornata campale è stato sparato dal moschetto di un isolano

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Oltre alle possibili vittorie dei nazionalisti scozzesi di Nicola Sturgeon a Edimburgo e del laburista Sadiq Khan a Londra (in entrambi i casi, lo scrutinio terminerà nel weekend), il primo ministro Boris Johnson ha altri problemi. Più a sud. Jersey è la maggiore delle isole del canale della Manica: si trova a 22 chilometri dalle coste della Normandia, ma è sotto controllo britannico da ottocento anni. È qui che è avvenuta una (per ora) incruenta battaglia navale. Un litigio fra i pescatori locali e quelli francesi è sfociato in un incidente internazionale. 

Il casus belli è il nuovo regolamento adottato dell’isola, che è una «dipendenza della corona». Si tratta, cioè, di un territorio difeso e rappresentato dagli inglesi anche se non fa parte del Regno Unito. Il governo di Saint Helier, la capitale, la scorsa settimana ha introdotto una norma che riduce l’accesso alle acque territoriali, di cui è tornato sovrano in base agli accordi della Brexit. Per continuare a gettare le reti lì, come hanno fatto per secoli, i pescherecci normanni devono dimostrare di averlo fatto con una certa continuità nel passato. La novità burocratica, rifiutata dalla terraferma perché unilaterale, s’è tradotta in un divieto. 

Per protestare contro questa licenza di pesca, una flottiglia di una sessantina di imbarcazioni francesi è salpata verso il porto di Saint Helier. Una manifestazione pacifica, dicono gli organizzatori. I fumogeni rappresentano l’unico arsenale a bordo. Dall’isola lo interpretano come il tentativo di imporre un blocco navale. Telefonano a Downing Street. Johnson risponde inviando due navi da guerra dalla base di Portsmouth. Nella nebbia del mattino si stagliano i profili della Severn e della Tamar, due pattugliatori d’altura con una coppia di cannoni e la contraerea. In confronto è un peso leggero l’omologo schierato da Parigi, il disarmato Athos A712 è lungo 32 metri, meno della metà di ognuno degli avversari (rispettivamente 70 e 90 metri). Nel giro di poche ore, le imbarcazioni dei «ribelli» battono in ritirata. 

 

In patria il tabloid Daily Mail l’ha raccontata con toni bellici, ma non è stata una battaglia navale in senso militare. Le navi coinvolte hanno modesto tonnellaggio e svolgono principalmente compiti di sorveglianza. Una delle due della Royal Navy aveva abbandonato il servizio nel 2017 ed è stata richiamata dalla pensione quando Johnson, durante le trattative con l’Ue incagliate proprio sulla pesca, ha deciso di riconvertire parte della marina alla difesa delle pescose acque britanniche. Se si esclude uno speronamento tra motoscafi, l’unico colpo di questa surreale giornata campale è stato sparato dal moschetto di un isolano di un gruppo di reenactment

Mentre le navi si fronteggiavano a distanza con in mezzo lo sciame di pescatori, lo scontro si è spostato altrove. Nella diplomazia. Il compromesso dell’ultimo minuto sulla Brexit aveva semplicemente messo in pausa le frizioni, non solo legali, tra Londra e Bruxelles. Rieccole qui, preludio dei prossimi anni, con l’equilibrio da ricostruire dopo il divorzio. Dopo il blitz la commissione europea ha accusato il Regno Unito di aver violato, pochi giorni dopo la ratifica, il trattato commerciale tra i due blocchi con le «condizioni speciali» richieste, senza sufficiente preavviso, agli equipaggi comunitari per operare nelle 12 miglia attorno all’isola della Manica. 

Prima dell’escalation, il ministro agli affari marittimi di Parigi, Annick Girardin, aveva minacciato di tagliare le forniture elettriche a Jersey, che dipende quasi completamente dalla Francia per l’approvvigionamento. In quel momento, la contesa riguardava le richieste avanzate dalle ciurme normanne per le autorizzazioni (ne sono state emesse 41). È stato chiesto loro di fornire dati elettronici che provassero la loro attività nella zona, ma molte barche piccole non montano sistemi GPS. Vengono contestate anche limitazioni all’attrezzatura permessa. 

Dietro la posizione dell’Eliseo c’è l’Europa. Il colloquio tra ministri, quello britannico è l’ex negoziatore Lord Frost, promette distensione.  «Non intendiamo tenere alta la tensione – ha detto il francese Clément Beaune –, ma ottenere una rapida e completa attuazione degli accordi». Le navi di Johnson sono lì per restare, ma Downing Street invita la Francia a impugnare gli strumenti di risoluzione delle dispute se si sente penalizzata. 

Non si arriverà allo scenario limite di dazi da parte di Bruxelles, ma l’incidente è stato il primo stress-test del trattato siglato a Natale 2020. Per questo, mentre la Global Britain spedisce in Oriente la più grande flotta dai tempi delle Falkland con la portaerei Queen Elizabeth, la «battaglia» di Jersey sta alla saga di Brexit come Trafalgar alle campagne napoleoniche. Ma sulle carte nautiche ormai è la periferia dell’impero. 

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