Preservare una “rete Internet libera e aperta”: questo mantra ha rappresentato la visione dominante della governance di Internet nelle società democratiche del Ventunesimo secolo. Le dichiarazioni relative alla policy di Google hanno citato la necessità di «mantenere Internet libera e aperta» come motivo per incoraggiare il governo statunitense a rinunciare alla sua storica supervisione sui nomi e i numeri di Internet.
L’ex presidente della Commissione federale per le comunicazioni (FCC) Julius Genachowski aveva annunciato le regole della FCC per la net neutrality e la open Internet sotto il segno della «necessità di preservare una rete Internet libera e aperta». L’ex segretario di Stato Hillary Clinton aveva inoltre tenuto due discorsi molto apprezzati sulla libertà di Internet, promuovendo la necessità di «proteggere e difendere la rete libera e aperta».
In superficie, tutte queste aspirazioni di libertà sono coerenti con la tradizione legata al Primo emendamento statunitense, con l’obiettivo di conservare la predominanza delle multinazionali tecnologiche statunitensi e con una serie di interventi di politica estera motivati dalla diffusione dei valori democratici e dalla volontà di attenuare il potere dei regimi autoritari. I discorsi relativi alla libertà di Internet hanno servito una varietà di interessi e ideologie.
D’altra parte, la diffusione delle tecnologie digitali nel mondo materiale necessita di un radicale ripensamento della libertà e dei diritti umani. Le nozioni tradizionali sottese alla libertà di Internet sono slegate dalle attuali condizioni tecniche, politiche e di mercato. La libertà di Internet riguarda solitamente il contenuto, in particolar modo la libertà di espressione, la proprietà intellettuale e l’indipendenza dei contenuti rispetto alle regolamentazioni dei governi. Raramente ciò ha riguardato l’architettura tecnica in sé, per quanto sia interessante notare come i princìpi di libertà e apertura abbiano alcune radici storiche nella comunità di progettazione ingegne-ristica di Internet. Quando si invocano i diritti umani in questioni legate all’infrastruttura si fa principalmente riferimento ai diritti all’accesso che influenzano il flusso dei contenuti, com’è il caso della penetrazione della banda larga o della net neutrality, ambedue questioni infrastrutturali più vicine all’utente umano che all’architettura tecnica.
Ovviamente, Internet non è mai stata completamente libera o aperta, anche rispetto ai contenuti. Sebbene gli attivisti e gli esperti di tecnologia abbiano cercato di difendere il concetto di rete libera e aperta, sia i governi democratici che quelli autoritari hanno sfruttato le tecnologie digitali per limitare le libertà umane e per mettere in atto una sorveglianza invasiva sui cittadini, a volte con il pretesto della difesa dell’ordine sociale.
Le suggestioni fantascientifiche sulla sorveglianza pervasiva, le ingerenze digitali nelle elezioni democratiche e le interruzioni di servizio della cyberinfrastruttura che un tempo sembravano impensabili si sono invece tutte materializzate. Nel giro di pochi anni, il governo egiziano è stato in grado di impedire per giorni l’accesso dei cittadini a Internet e alla telefonia cellulare; un hacker ha trafugato i dati personali di settanta milioni di clienti di un gigante del commercio americano; l’intelligence statunitense ha rivelato come i russi abbiano tentato di interferire nelle elezioni.
Per chi accede alla rete dalle società democratiche è spesso difficile comprendere quanto, in altre culture, il diritto di parola digitale sia illusorio. Un tribunale dell’Arabia Saudita ha condannato un padre di tre figli a dieci anni di prigione e a duemila frustate per aver pubblicato nel 2016 dei tweet ateistici in cui criticava la religione.
In un recente censimento carcerario, il Comitato per la protezione dei giornalisti ha registrato un numero record di giornalisti incarcerati in Egitto, secondo solo alla Cina. Il governo turco ha ordinato una serie di interruzioni del web e l’idea che le primavere arabe siano state alimentate dai social media, portando così a rivoluzioni democratiche, è un mito persistente della storia di Internet.
Due visioni incompatibili continuano a coesistere: da un lato la difesa di una rete aperta e libera e, dall’altro, la difesa di un sistema invasivo retto sulla censura e sulla sorveglianza. La prima visione offre possibilità utopiche in termini di libertà d’espressione e accesso alla conoscenza, mentre la seconda offre una visione terrificante di controllo dell’informazione e di invasione della sfera personale da parte del pubblico e del privato. Come in tutte le fragili dicotomie, la realtà è invece molto più complicata e le stesse identiche tecnologie che rendono possibile la libertà individuale possono essere usate dai governi autoritari per la repressione. È però problematico che entrambe le narrazioni si concentrino soprattutto sul contenuto.
Le nozioni concorrenti di potenzialità utopiche e moniti dispotici hanno avuto parecchi precedenti storici, durante altre fasi di rapidi cambiamenti tecnologici. L’introduzione del telegrafo nel Diciannovesimo secolo cambiò radicalmente la possibilità di comunicare. Questa invenzione permise all’informazione di fluire a una velocità incredibilmente superiore rispetto alla posta trasportata per via ferroviaria o navale. La rete globale di cavi e di operatori del telegrafo che usavano il codice Morse per trasmettere e ricevere messaggi travolse la vita economica e sociale.
In The Victorian Internet, lo storico Tom Standage spiega come il telegrafo «ha rivoluzionato il modo di fare affari, dato vita a nuove forme di criminalità e inondato i suoi utenti con un diluvio di informazioni. Ci sono storie d’amore che sono sbocciate via cavo. Codici segreti che venivano creati da alcuni utenti e decifrati da altri. I vantaggi della rete erano incessantemente pubblicizzati dai sostenitori e confutati dagli scettici. I governi e i regolatori cercarono, fallendo, di controllare il nuovo mezzo di comunicazione. Si dovettero ripensare tutta una serie di comportamenti, dalla raccolta delle informazioni fino alla diplomazia».
L’avvento della radio e della televisione sollecitò una simile retorica sulle potenzialità democratiche delle trasmissioni di massa, per quanto sfruttando un flusso che da una persona va verso molte invece di essere una trasmissione a due.7 Ogni nuova tecnologia ha provocato simili scompigli regolatori e conflitti tra i vari portatori d’interessi. Ed è così anche con le cybertecnologie.
da “Internet in ogni cosa. Libertà, sicurezza e privacy nell’era degli oggetti iperconnessi”, Luiss University Press, 2021, pagine 194, euro 26