Il merito è sempre quello: parlare di cose profonde facendo ridere. “Strappare lungo i bordi”, la prima serie animata italiana per Netflix, realizzata da Zerocalcare, regala sorrisi, illuminazioni, istanti di riflessione. A volte costringe a fare stop: per assorbire quello che viene detto o soltanto per non perdersi tutti i dettagli dei disegni (i titoli del catalogo Netflix, per esempio), che meritano. Sa fare anche male, però.
“Strappare lungo i bordi” è un’immersione nel suo universo, fatto di armadilli e animali parlanti, con lo Zerocalcare cartonato alter ego dell’autore, le strade di Rebibbia. In gran velocità racconta e commenta – presta la voce a quasi tutti i personaggi – gli episodi che scandiscono la storia, suddivisa, tra ricordi e flashback, in sei puntate tutte più o meno di un quarto d’ora. Alla trama di fondo, quella di un viaggio in treno con i suoi amici d’infanzia Secco e Sarah, si aggiungono divagazioni più o meno circolari, che vanno dall’auto che buca (e la vergogna di non riuscire a cambiare la gomma) alla «maledizione di Carmen la zingara», sorta di leggenda personale con cui il personaggio di Zerocalcare giustifica la sua ansia da ritardo nelle partenze. C’è anche una versione casalinga del “Trono di Spade”. Fa ridere e fa pensare: perché sotto al velo delle trovate surreali c’è lo spaesamento di chi, nonostante tutto, è ancora disorientato nel mondo, preda di paranoie e sensi di colpa, «cintura nera di come si schiva la vita».
È un lavoro di Zerocalcare e per questo non può mancare la nota generazionale. I riferimenti sono infiniti, dall’accenno al G8 di Genova e alle botte prese fino all’uso di MSN Messenger (ben prima che esistesse WhatsApp) con cui il personaggio Zerocalcare vince la timidezza e riesce a chiacchierare con Alice, la ragazza di cui si innamora nel primo episodio. La portata però è più ampia: è una storia di crescita, di illusioni e di fine delle illusioni. La linea tratteggiata da seguire – quella da strappare, appunto, lungo i bordi – sembrava un percorso semplice, già definito, un destino già scritto, ma che si dissolve con il passare degli anni, il crollo delle certezze e la perdita di punti di riferimento. Tanto che lui, il protagonista, lungo quella linea ha deciso di non strappare più nulla, per paura di rompere il foglio.
Il ritratto della (ex) gioventù precaria, fallita, senza sogni e incapace di diventare adulta lo ha già fatto in “Macerie prime”, il fumetto in due libri uscito nel 2017 (il primo volume) e nel 2018 (il secondo). Qui è sempre sottotraccia, emerge in qualche momento, ma non è il fuoco. Anzi, tutta la serie è nella sostanza una lunga digressione, segue rivoli di invenzioni esilaranti e toccanti, associazioni di idee bislacche e divertenti, mescola nel suo brio leggerezza e profondità, obbliga a fermarsi per guardare i suoi bilanci personali, generazionali ma non solo.
“L’ultimo intellettuale”, come era stato definito da una copertina dell’Espresso, toglie la maschera dell’età e va al cuore dei problemi, parla di tutti e per tutti, i suoi dubbi sembrano da poco, ma nascondono un’inquietudine universale. Sono domande che l’umanità si fa da millenni ma, si chiede, «perché dovrei trovare io la risposta?». Sorride, sì, ma per celia. Anche tutto questo girovagare logico e creativo, ricorda l’armadillo – la sua coscienza, interpretato da Valerio Mastandrea – è una fuga. La fa per non dover affrontare, davvero, il motivo del viaggio in treno che sta facendo con i suoi amici.
Con la sua delicatezza “Strappare lungo i bordi” vuole essere una carezza allegra, una consolazione caotica per i dolori che restano. Sono le cicatrici che non passano – perché non possono passare – i tratti che segnano l’esistenza di tutti. La linea lungo la quale si può strappare, fino a scoprire il senso del disegno.