Il magnate dei casinò Alvin Chau è stato arrestato in Cina per gioco d’azzardo transfrontaliero illegale e riciclaggio di denaro. A seguito di un’indagine durata più di due anni, che ha portato all’arresto di altre dieci persone, l’imprenditore di Macao è diventato suo malgrado il simbolo di una stretta voluta da Pechino sul gioco d’azzardo nell’ex colonia portoghese.
Macao è la Las Vegas d’oriente, l’unico posto in tutta la Cina in cui è legale sedersi al casinò, ed è il più grande centro di gioco d’azzardo del mondo – in termini di fatturato. Ma lo scorso settembre il governo locale di Macao ha deciso di rafforzare le regole sulla sorveglianza delle attività delle case da gioco. O meglio, il piano dell’amministrazione – ancora in fase di definizione – sarebbe quello di mettere rappresentanti del governo cittadino dentro i consigli d’amministrazione delle compagnie che hanno le licenze per i casinò, in modo da controllare l’eventuale presenza di attività illecite – come appunto il riciclaggio di denaro.
Questa nuova legge, se dovesse passare, coinvolgerebbe anche i casinò quotati negli Stati Uniti, o comunque quelli appartenenti a compagnie straniere: anche loro dovrebbero avere un rappresentante di Macao all’interno del cda. Secondo gli analisti di JPMorgan questa ipotesi ha «instillato il dubbio nella mente di tutti gli investitori».
Della politica cinese contro il gioco d’azzardo ha parlato anche il Financial Times in un lungo articolo in cui viene raccontato proprio il tentativo di controllo totale da parte del governo di Xi Jinping. «Pechino aveva già segnalato la sua ostilità nei confronti dei casinò introducendo una legge nel marzo 2020 che vietava il marketing per attirare potenziali giocatori d’azzardo all’interno della Cina. Questo ha colpito il cuore della famigerata industria di Macao, che è costruita per attirare gli investitori dalla Cina continentale», si legge nell’articolo.
La situazione è particolarmente preoccupante per tre grandi gruppi di casinò di Macao, che sono in gran parte di proprietà degli Stati Uniti: Las Vegas Sands, Mgm e Wynn, che gestiscono nove resort a Macao e le loro filiali locali sono quotate a Hong Kong.
È proprio il destino dei casinò di proprietà degli Stati Uniti a sollevare le preoccupazioni maggiori: Pechino non vuole necessariamente eliminare i casinò stranieri ma, considerando anche le tensioni tra Stati Uniti e Cina, è verosimile che Pechino voglia che le società cinesi acquisiscano una partecipazione maggiore nelle imprese americane.
Per molti osservatori, il focus principale della Cina sono gli investimenti a livello locali: «Vogliono che i casinò aiutino l’economia e le piccole e medie imprese, piuttosto che portare ricchezza negli Stati Uniti. Per questo vogliono un controllo maggiore», spiega al Financial Times un dirigente senior di un casinò.
Per le grandi compagnie statunitensi Macao era una specie di bancomat senza fondo. Adesso però, scrive il quotidiano economico, «la nuova legge potrebbe fissare un nuovo limite su quei prelievi».
In particolare, le autorità di Pechino sono interessate a guidare gli investimenti di certe compagnie verso la “Greater Bay Area”, nota anche come Guangdong–Hong Kong–Macao Greater Bay Area, cioè una megalopoli composta da nove città e due regioni amministrative speciali situate nel sud della Cina: Pechino vorrebbe sviluppare lì anche la sua Silicon Valley per lo sviluppo tecnologico, e rendere quella regione uno dei principali centri economici globali entro il 2035.
I cinesi vogliono soprattutto che gli operatori del settore si assumano una maggiore responsabilità sociale. Durante la pandemia, i casinò hanno mantenuto la maggior parte del personale locale a libro paga nonostante l’assenza di entrate. Ma potrebbe non essere abbastanza: «I casinò dovranno impegnarsi per maggiori investimenti non legati al gioco. Ci saranno un sacco di cose su cui dovranno impegnarsi per garantirsi il rinnovo delle loro concessioni», scrive il Financial Times.
Non sarà facile, considerando che questa stretta del governo cinese arriva proprio in un periodo in cui l’economia di Macao sta facendo parecchia fatica. I profitti dei casinò sono stati decimati dalla pandemia: Macao ha da subito adottato un rigoroso approccio zero-Covid, proprio come la Cina continentale, e i numeri ne hanno risentito subito.
Il graduale ritorno dei visitatori dalla Cina continentale è stato accolto favorevolmente dai dirigenti dei casinò. Ma ancora non sono i numeri pre-pandemia, quelli necessari per riaccendere Macao, la cui straordinaria storia di crescita l’ha vista trasformarsi da sonnolenta ex colonia portoghese a centro del gioco d’azzardo del pianeta in meno di due decenni.
I ricavi lordi giornalieri legati al gioco d’azzardo per le prime tre settimane di novembre sono stati di circa 30 milioni di dollari al giorno, i visitatori medi giornalieri a 26mila, i volumi di gioco sono aumentati del 55% mese su mese rispetto al 2020. Tutto sostanzialmente molto incoraggiante ma, nel caso siamo ancora ben lontani dalla media giornaliera di 100 milioni di dollari di ricavi lordi di cui godeva Macao nel 2019. Il gioco d’azzardo rappresenta l’80% delle entrate annuali e il 55% del Prodotto interno lordo, per Macao. Ci sono 41 mega casinò per una popolazione di meno di 700mila persone, in poco più di 30 chilometri quadrati.
Non a caso il presidente dell’Associazione generale degli amministratori e dei promotori dell’industria dei giochi di Macao, Kwok Chi-chung, sembra piuttosto pessimista sull’immediato futuro: «Ci sono meno ospiti, quindi un flusso di cassa limitato, l’economia va male, la pandemia è ancora in corso e le normative stanno diventando più rigorose: come può l’industria tornare al suo periodo di massimo splendore?».
L’amministrazione di Macao si affida ovviamente al gioco d’azzardo per le tasse, per finanziare i servizi della città, ed è quindi fondamentale che le entrare del settore non si riducano. Ma se la strategia di Pechino è quella adottata anche in molti altri settori – vedi quello del gaming o delle grandi compagnie informatiche – saranno tempi dure per l’ex colonia portoghese.
Nonostante questo, però, a Macao alcuni sembrano mantenere un certo grado di ottimismo. «Secondo alcuni operatori del settore – scrive il Financial Times – Pechino alla fine vedrà Macao come un male necessario: il rischio di controllare e osservare tutto nel mondo del gioco d’azzardo d Macao è avere un mercato nero, illegale e non osservabile, diffuso in tutta la Cina. Cioè l’ultima cosa che vuole Pechino».