Maria, è colpa tua. Lo so, sono beghe tra case di produzione: è colpa di Banjay che di Temptation Island detiene i diritti per l’Italia e quest’estate non s’è messa d’accordo con Fascino, non ho neanche capito perché (soldi? Se ce lo dicevi facevamo una colletta); ma siamo serie: chi li conosce, quelli di Banjay?
L’Italia conosce te, guarda a te, si affida a te, e in te confidava per avere anche quest’anno non dico un Oronzo e una Valentina (un vertice drammaturgico difficilmente ripetibile), o un Tommaso e una Valentina (si chiamano tutte Valentina; questi erano quelli che vivevano a casa della madre di lui e lei al mare non poteva mettersi in bikini perché «il tuo corpo è sacro»), ma almeno un Arcangelo e una Nunzia, quelli che lui limona un’altra e poi invece di prendersi il cazziatone di lei e farsi perdonare le dice no guarda tu meriti di meglio ciao.
L’Italia, d’estate, ha diritto a una Temptation Island. Non sta scritto in Costituzione solo perché la Costituzione italiana è un documento gravemente lacunoso scritto da gente senza la tv a colori, ma è evidente che è un diritto inalienabile, e tu lo sai, cosa succede a una società quando la privi d’un diritto inalienabile? Che quella escogita forme di compensazione.
E quindi, un po’ come le mammane se levi il diritto all’aborto, noi – privati di Nunzia, Arcangelo, e ogni forma di Valentina – ci siamo procurati Calenda, Letta, e altre drammaturgie minori. Noi a un’estate di falò di confronto non eravamo disposti a rinunciarci, i politici di sinistra lo sapevano, e si sono sacrificati a intrattenerci. Certo, poi perderanno le elezioni (voteresti un Oronzo?), ma è apprezzabile che abbiano capito quanto avevamo bisogno di porte sbattute, psicodrammi, minacce, video di tradimenti, promesse rinnegate, corteggiamenti senza neanche un limone.
Solo che, senza il genio televisivo di Maria De Filippi e del suo gruppo di lavoro dietro, questa Temptation Carlo o come diavolo vogliamo intitolarla non sembra poter reggere l’intero palinsesto estivo, che finisce il 25 settembre. Come la teniamo la suspense, fino alla fine, se già ora è tutto a puttane e tutte le coppie che potevano scoppiare sono scoppiate e qualche autore incapace ha messo troppo all’inizio della stagione i falò di confronto?
Ci sono persino i corteggiatori, figura fondamentale di Temptation, con sprazzo di provinciale modernità chiamati single, indispensabili a far girare il meccanismo narrativo: senza la tentatrice che gli si struscia addosso, all’Oronzo del caso mica viene il delirio di onnipotenza, mica inizia a parlare di sé in terza persona, mica pensa di poter affrontare il mondo (le elezioni) senza alleati (fidanzata di lungo corso).
Sui giornali, gli articoli su Renzi che corteggia Calenda si collocano con naturalezza nel campo semantico del falò di confronto. Ricopio dalla Stampa: «La strada è complessa, vanno inghiottiti rancori e sospetti reciproci […] Ma sarebbe tutto troppo facile. E così non è […] Non vuole precipitarsi tra le braccia di Renzi, assumendo una posizione di debolezza».
È ancora troppo presto, nella scansione delle puntate, per capire chi sia Oronzo e chi Valentina, o se questo non sia un ardito esperimento metatelevisivo in cui gli autori hanno deciso di far incrociare due ego debordanti, due mitomani, due Oronzo.
E non sono solo loro: Rocco Casalino – purtroppo a Temptation sarebbe tecnicamente infattibile la partecipazione di coppie gay, ma che concorrente perfettissimo sarebbe – illustra al Corriere lo strazio della propria non candidatura col lessico da reality della crisi di coppia: «Non ci ho dormito per 4 notti […] da un lato la mia voglia di impegnarmi in questo nuovo percorso […] dall’altra la consapevolezza» (non c’è parola più Temptation di «percorso», d’altra parte Casalino era fluido tra reality e palazzo Chigi quando Renzi e Calenda ancora appartenevano a uno solo dei campi – semantici e professionali).
Insomma: la campagna elettorale è un succedaneo di Temptation Island, esiste per compensare la mancanza defilippica (una mancanza della quale voglio sperare Mattarella le chieda conto). Non solo il lessico: in ogni dettaglio, risuona Temptation.
Prendiamo per esempio il vero protagonista, occulto ma evidente, di Temptation Island: il consulente musicale. Le musiche del reality perfettissimo erano come le volevamo: didascaliche. Già dalla canzone della sigla, nella quale Rihanna sospirava «amo il modo in cui menti», un verso che dà una sfumatura da sceneggiata napoletana a quella scena di Via col vento in cui Rossella sibila «come sai mentire bene, Melania».
Quando Enrico Letta dice, di Calenda, al Tg1 «Che promesse puoi fare agli italiani se sanno che già con gli alleati rompi la parola data», noi sentiamo la scelta musicale anche se non c’è: nel Temptation elettorale, lì ci va Baglioni, «ci separammo un po’ come ci unimmo, senza far niente e niente poi c’era da fare».
Si nota, questo ruolo della campagna elettorale nei palinsesti, specialmente quando essa osa distaccarsi dal format. A Temptation non ci sono i telefoni. Nessuno può twittare, chattare, fare cose che non prevedano interazione coi presenti e ti diano riscontro immediato di cuoricini.
Quando il coordinatore della segreteria di Più Europa ricostruisce l’abbandono di Calenda scrivendo che ha comunicato la sua decisione, e poi, quando loro gli hanno detto che dovevano riunire gli organismi dirigenziali e discuterne, «ci ha risposto salutandoci e uscendo dalla chat», è impossibile non pensare: ecco cosa succede quando non si confiscano i telefoni all’inizio del reality, ecco cosa succede quando Maria va in vacanza invece di vigilare sul format, ecco cosa succede a lasciare i palinsesti estivi ai dilettanti.