Roulette brasilianaLula e Bolsonaro hanno fatto una campagna ideologica, ma hanno idee diverse su ambiente e politica estera

Al ballottaggio la partita è aperta. Il presidente uscente è un sodale di Trump e non ha preso le distanze da Putin, il leader della sinistra punta anche sul contrasto alla deforestazione dell’Amazzonia

Invito a votare al ballottaggio tra Lula e Bolsonaro nella città brasiliana di San Paolo
AP Photo/Matias Delacroix

Ordem e Progresso. Domenica 30 ottobre oltre centocinquanta milioni di brasiliani saranno chiamati a scegliere l’uomo che guiderà la prima economia del Sudamerica per i prossimi quattro anni. La scelta ricadrà su uno dei due sfidanti arrivati al ballottaggio dopo il primo turno del 2 ottobre: Luiz Inácio Lula da Silva, leader del Partito dei Lavoratori che ha già guidato il Paese dal 2003 al 2010 e Jair Bolsonaro, presidente ultraconservatore uscente eletto nel 2018.

Al primo turno Lula ha staccato Bolsonaro di circa il 5,2 per cento dei voti fermandosi al 48,4 per cento, una percentuale che ha sorpreso media e sondaggisti che avevano previsto una forbice maggiore a favore del leader della sinistra. La partita si deciderà quindi al ballottaggio. Appuntamento elettorale che arriva in un clima non certo sereno: oltre alle tante manifestazioni di piazza, pochi giorni fa l’ex deputato alleato di Bolsonaro, Roberto Jefferson, ha sparato e lanciato una granata verso la polizia che era intervenuta per arrestarlo in seguito alla violazione degli arresti domiciliari.

I due sfidanti
Bolsonaro è riuscito ad arrivare al 43,2 per cento partendo dallo zoccolo duro di elettori della destra conservatrice dislocato prevalentemente negli Stati ricchi del Sud, nonostante una conclusione del mandato non brillante e con molti problemi interni. La gestione della pandemia è stata pessima e nel governo hanno trovato forte spazio le tesi negazioniste: Bolsonaro ha messo in discussione l’efficacia dei vaccini facendo perdere al Paese del tempo prezioso, mentre il numero delle vittime continuava a salire fino ad arrivare a seicentomila.

Una situazione che è costata al leader del Partito ultraconservatore la messa in stato d’accusa da parte del Congresso per la gestione dell’emergenza coronavirus e la disinformazione fatta sui vaccini. Alla pandemia si è aggiunta, come in altri Paesi, una difficile situazione economica, in un contesto dove la forbice tra le classi sociali è estremamente divaricata.

Lula rimane in vantaggio ma con un margine inferiore rispetto a quello che si pensava prima del 2 ottobre. Dopo il primo turno ha incassato l’appoggio più o meno esplicito dei leader rimasti fuori dal ballottaggio: Simone Tebet del Movimento Democratico Brasiliano fermatasi al quattro per cento e Ciro Gomes del Partito Democratico Laburista al tre per cento.

La partita sembra comunque aperta. Il leader del Partito dei Lavoratori ha puntato su un programma economico basato su forti investimenti dello Stato nelle scuole, nella sanità e nel sociale mantenendo la già forte popolarità nella fascia della popolazione più povera. Ha votato per Lula anche una buona fetta di elettorato moderato delle grandi città, considerandolo un «voto utile» contro la rielezione di Bolsonaro.

Ambiente e politica estera
In una campagna elettorale in cui a farla da padrone è stata la forte contrapposizione ideologica tra il leader della sinistra sociale e quello della destra ultraconservatrice, non si è parlato granché di programmi e temi concreti. Due delle principali differenze tra gli sfidanti riguardano i diversi approcci in tema di ambiente e politica estera, aspetti che in Brasile sono fortemente interconnessi soprattutto quando si parla di foresta Amazzonica.

Bolsonaro negli ultimi quattro anni ha portato avanti una politica a difesa della sovranità decisionale del Brasile su un patrimonio mondiale come l’Amazzonia e ne ha intensificato la deforestazione (aumentandola fino all’ottanta per cento nel 2020). Per far fronte alla siccità e alla conseguente crisi dell’energia idroelettrica, l’ex ufficiale dell’esercito brasiliano ha aumentato gli incentivi alla produzione di energia tramite combustibile fossile, consentendo anche lo sfruttamento delle terre protette delle comunità native.

Al contrario, Lula ha indicato tra gli obiettivi del suo programma una forte riduzione della deforestazione e la fine all’estrazione illegale di risorse. Il leader della sinistra si è detto a favore della transizione energetica e dell’utilizzo di energia da fonti rinnovabili nelle aree rurali del Paese. Non sarà un’impresa semplice, viste le forti resistenze delle lobby agroalimentari molto potenti nelle aree del centro-nord del Paese.

Uno degli stimoli a questo cambio di rotta potrebbe essere l’accordo commerciale Ue-Mercosur, che Lula si è detto pronto a firmare e che eliminerà buona parte dei dazi tra le due macroaree economiche. Il trattato potrà rappresentare una leva importante dal punto di vista ambientale se l’Unione europea sarà in grado di inserire clausole di protezione ambiziose.

C’è poi la politica estera: Bolsonaro non ha mai nascosto la sua vicinanza a Putin e qualche giorno prima dell’invasione russa in Ucraina è stato ricevuto al Cremlino. Nonostante le pressioni interne, con l’economia in sofferenza il Presidente brasiliano ha preferito non abbandonare le importazioni di materie prime da Mosca. Una posizione che ha raffreddato ancora di più le relazioni con Biden (Bolsonaro è un grande amico di Trump) e con i leader europei.

Anche con Giorgia Meloni i rapporti potrebbero non essere semplicissimi: nonostante le molte affinità e il supporto reciproco mai nascosto, dopo la recente svolta atlantista anti-Putin della premier italiana qualche difficoltà potrebbe nascere. Una posizione, quella del Presidente brasiliano, che ha creato divergenze anche con gli altri Paesi del blocco Brics.

Con un’eventuale elezione di Lula la situazione dovrebbe essere diversa, in primis nei rapporti con Stati Uniti ed Ue. Il leader del Partito dei Lavoratori ha sempre avuto buone relazioni con Obama, con i leader europei ma soprattutto con la Cina che di fatto resta il primo partner commerciale del Brasile (gli scambi commerciali con il gigante asiatico hanno toccato quota 135 miliardi di dollari nel 2021).

Il nuovo scenario geopolitico potrebbe però creare qualche imbarazzo a Lula visto che negli ultimi anni le relazioni tra Pechino e Washington sono parecchio peggiorate. Trovare un equilibrio non sarà facile.

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