Vivo in Italia dal 2015. Tra il 2015 e il 2022 è stato molto difficile raccontare che cosa stava succedendo in Ucraina, quella verità che purtroppo tanti hanno imparato in fretta la mattina del 24 febbraio.
La Crimea era stata illegalmente annessa dalla Russia. Nel Donbas non c’era una guerra civile tra ucraini e separatisti. C’è stata un’invasione dell’esercito russo entrato in Ucraina senza la divisa ufficiale, ma con un accento ben distinguibile dal russo che si parla in Donbas. Già allora gli ucraini avevano ragione.
Siamo stati bombardati a tappeto dal 24 febbraio 2022 in tutto il territorio, ma avevamo ragione dal 2014, quando si parlava di conflitto militare a bassa intensità, quando i giornalisti della Rai di base a Mosca visitavano le trincee scavate dai russi intervistando i russi spacciati per separatisti.
Finalmente – ma a che prezzo! – non c’è più bisogno di spiegare, di argomentare, di raccontare.
Le cose sono finalmente chiare, senza andare a studiare la storia degli ultimi 300 anni dei rapporti tra l’Impero russo e i territori ucraini, tra la Repubblica socialista sovietica russa e Repubblica socialista sovietica ucraina e dal 1991 in poi tra Russia e Ucraina.
C’è un Paese che formalmente invade l’altro Paese, con tanto di annuncio e ghigno del dittatore che ordina di bombardare, uccidere, derubare, stuprare perché lo stupro è il metodo dell’esercito russo e i frigoriferi sono il loro bottino migliore. Il paese aggredito vuole respingere il nemico fuori dai suoi confini, vuole liberare i territori occupati, perché in quei territori ci sono gli ucraini che non sono riusciti ad evacuare e aspettano a Kherson e nelle zone di Zaporizhzhia che arrivino i loro.
La guerra la fa la Russia, l’Ucraina fa la resistenza. Le cose sono chiare, eppure dopo otto mesi di resistenza al nemico, dopo le fosse comuni, dopo le città rase al suolo, le vite spezzate, le persone care morte, gli ucraini si trovano di nuovo a giustificarsi perché il presidente Zelensky non vuole più trattare con il criminale Putin.
Giustificarsi perché sono morti, perché sono stati uccisi, perché hanno disturbato il quieto vivere di tanti personaggi filorussi con l’abbonamento sulle poltrone degli studi dei talk show serali italiani, che ogni volta devono inventare, se non seguire le direttive scritte da Mosca, su come mettere gli ucraini in cattiva luce. E ci riescono, perché lo spazio televisivo per loro c’è sempre, quindi c’è la richiesta?
Non tutti gli italiani sono così e sono d’accordo, perché dal 24 febbraio ho conosciuto le persone senza le quali difficilmente avrei superato questi otto mesi in Italia, ma ci sono anche quegli italiani, che sono nelle posizioni di decidere chi invitare e chi no ai loro talk show, guidati dalla voglia di dare spettacolo in studio (o non solo?), dalle condivisioni sui social, spesso anche di indignazione, ma sono pur sempre condivisioni e fanno numeri.
Quale numero di ascolti può contare di più delle vite umane? Quale spettacolo vale di più dello stato psicologico delle persone che da otto mesi cercano di resistere e di non arrendersi alla depressione, alla disperazione di vedere ogni giorno morire qualcuno che li sta difendendo? Quale interesse conta di più dei bambini con le bende alle braccia e alle gambe?
Lunedì è stato bombardato il centro della capitale Kyjiv, danneggiando la mia università. Quella mattina ho visto la mia mamma in videochiamata, chiusa dentro un bunker, e ho ricevuto un messaggio da mio padre che ha visto i missili volare dalla Bielorussia verso Kyjiv.
Ho ricevuto il messaggio di una mia quasi sorella dalla metro di Kyjiv, dove era corsa a rifugiarsi. Ho rivissuto il terrore del 24 febbraio, ma più temprata e più pronta ad affrontare la situazione. Dopo otto mesi di resistenza non pensavo, però, di rivivere ancora il terrore del dibattito pubblico italiano, dove sono ancora presenti i negazionisti delle fosse comuni e gli Orsini e i Di Battista vari applauditi dalla fabbrica dei troll dei russi.
A noi ucraini, le cose sono sempre state chiare, anche oggi seguendo le bizzarrie del dibattito pubblico proposto dai talk show italiani. No, cari impresari degli studi italiani, le cose non sono complicate, ambigue, sospette. No, le cose sono davvero molto semplici e chiare. E anche decidere da che parte stare è una decisione chiara e semplice.