Sono bastati poco più di otto mesi affinché le forze russe fossero costrette ad annunciare il ritiro da Kherson, l’unica capitale provinciale conquistata durante la re-invasione dell’Ucraina il 24 febbraio.
Il giubilo per l’ennesima vittoria ucraina è legittimo: Kherson è il coronamento di una campagna con la quale i difensori hanno saputo sfruttare appieno le debolezze dell’avversario, impiegando le proprie pur sempre risicate risorse per amplificare le profonde pecche del sistema economico-militare russo. Sono otto mesi nei quali l’iniziativa sul campo è passata ai difensori, condannando il Cremlino a rivedere la propria strategia e adeguarsi a un conflitto che si preannuncia lungo ed estenuante.
Ma prevedere l’impatto di questa svolta rimane un esercizio difficile, tanto più che le scelte russe e degli alleati di Kyjiv sembrano già aver tracciato la traiettoria del conflitto per i prossimi mesi.
Prima di tutto va specificato che l’annuncio di Sergej Shoigu, ministro della Difesa russo, trasmesso in una conferenza stampa altamente coreografata, rimane per l’appunto questo: un annuncio. La situazione sulla riva destra del fiume Dnipro rimane poco chiara, come lo è stata del resto a partire dell’offensiva ucraina ad agosto.
La tenuta e la qualità delle forze russe in questo lembo di Ucraina sono sempre state maggiore rispetto ad altri settori del fronte, sia per il valore politico di Kherson sia per la necessità di tenere la linea a protezione dell’accesso terrestre alla Crimea. Questa presenza massiccia, insieme alla conformazione del terreno e la protezione naturale del fiume, ha finora impedito agli ucraini di lanciarsi in manovre di aggiramento come a Kharkiv, che hanno per questo preferito un approccio asimmetrico ma altamente efficace.
Strategia asimmetrica
Nel corso della conferenza stampa di mercoledì, durante la quale il ministro della Difesa ha accolto la richiesta di ritirata da parte del comandante delle forze russe in Ucraina Sergei Surovikin, è stato specificato che i motivi del ritiro sono da cercare nella difficoltà russa di rifornire la riva destra del Dnipro.
Questa è una sostanziale ammissione dei successi ucraini nel bersagliare attraversamenti, ponti, snodi logistici e zone di dispiegamento grazie all’artiglieria di produzione occidentale, dimostrando ancora una volta che in guerra spesso la logistica conta più delle singole battaglie. L’incertezza degli approvvigionamenti ha innalzato il rischio che gli ucraini potessero sopraffare le forze al di là del fiume, rendendo il ritiro una necessità militare ineluttabile.
Che la logica militare abbia prevalso su quella politica è, in questo senso, una novità: il Cremlino non sembra aver obbligato Surovikin a difendere la prestigiosa città fino all’ultimo uomo, conscio forse che le forze armate russe non possono più permettersi le immense perdite finora sofferte. È anche notevole che Surovikin sia stato supportato pubblicamente dai blogger militari, da Prigozhin e da Kadyrov: erano mesi che il regime non era così coeso su una decisione delle forze armate, benché meno su una ritirata. Ciò dimostra che, quando vuole, il Cremlino sa garantire un certo grado di unione fra le diverse anime del sistema putiniano: questa capacità potrebbe tornar preziosa ai russi nei prossimi mesi.
Tutto ciò rende la ritirata meno urgente rispetto ad altre situazioni emerse nel corso del conflitto. In queste ore gli ucraini hanno liberato alcuni snodi logistici in prossimità della città, ma se i russi sapranno ben gestire l’evacuazione, è improbabile che assisteremo a una rotta totale.
Un ragionamento simile sarebbe applicabile anche nel caso il panico si dovesse diffondere fra le unità a ovest del Dnipro, come sembra stia succedendo a partire da giovedì notte. La perdita di materiali sarebbe ingente e difficilmente sostituibile con nuovi sistemi high-tech, ma con le giuste precauzioni i russi dovrebbero essere in grado di mettere in salvo ì proprio uomini (come spesso accade, gli analisti sono costretti per etica professionale a dare un giudizio cauto anche di fronte alla ripetute prove di incompetenza russa).
L’intenzione sembra se non altro quella di una ritirata graduale e combattente, che infligga agli ucraini parte delle perdite che avrebbero sofferto in una battaglia urbana nella capitale provinciale. Non è da escludere che i russi lancino anche una massiccia campagna di bombardamento contro la città, un crimine vendicativo che inaugurerebbe una stagione di terra bruciata a seguito di ogni ritirata.
Le nuove difese e la logistica
Questa apparente mancanza di panico, unita alla prevalenza di un corretto approccio indiretto da parte ucraina, suggerisce che Kyjiv non sarà in grado di tramutare questa vittoria in uno sfondamento verso la Crimea e il Mar d’Azov. In parte ciò è dovuto dal nuovo fronte che prenderà forma dopo la liberazione di Kherson, sempre escludendo che gli ucraini non individuino l’opportunità di un colpo di mano che li porti rapidamente oltre al Dnipro prima che la ritirata sia completata.
È da settimane che i russi preparano sistemi di fortificazioni e trincee dietro al fiume, e rimane anche il dubbio che la diga di Nova Khakova possa essere fatta saltare per allargarlo e rendere ancora più difficoltoso un attraversamento.
Ma al di là dei bunker di dubbia qualità, è anche verosimile che gli ucraini scelgano di continuare a deteriorare le capacità logistiche e organizzative russe sfruttando la situazione altamente precaria nella quale i russi si sono posti.
Il senso di questo approccio sarebbe quello di mantenere i russi in una situazione di inferiorità materiale. Le linee di rifornimento terrestri verso il fronte sud sono oggi più vulnerabili, grazie anche alle straordinarie limitazioni di traffico imposte sul ponte di Kerch dopo l’attacco di poche settimane fa. Non è neanche escluso che i russi siano costretti a rischiare maggiormente i propri assetti navali per proteggere i rifornimenti e supportare le operazioni terrestri sul Dnipro. Nel Mar Nero la marina russa mantiene una supremazia relativa, ma anche qui l’approccio asimmetrico ucraino si è rivelato un successo: l’utilizzo di missili antinave rende pericolosa la navigazione e porta spesso a vittorie simboliche dall’alto impatto psicologico.
Serviranno ancora armi, pausa o non pausa
È abbastanza scontato che, salvo sorprese e azioni unilaterali da parte dei mercenari Wagner, Mosca decida di arrestare le operazioni offensive fino a febbraio. Ciò permetterebbe di riportare a un livello accettabile i rifornimenti, soprattutto se la mobilitazione economica riuscisse ad aumentare almeno in parte la produzione industriale, e di addestrare almeno parte delle reclute non immediatamente lanciate nel carnaio in Donbas.
Un’ultima prospettiva da considerare riguarda gli aiuti militari occidentali, tornati al centro del dibattito politico anche nel nostro Paese. Gli addetti ai lavori sono consci che l’attuale ritmo sostenuto nella donazione dei sistemi d’arma non è più sostenibile, sia per carenze produttive che per un’oggettiva scarsità di munizioni, cannoni, missili, veicoli blindati e sistemi antiaerei negli arsenali Nato.
Fermo restando che il consenso politico sugli aiuti persista (e le vittorie ucraine dimostrano l’utilità degli aiuti), sarà comunque necessario fare delle riflessioni su come mantenere un costante flusso di rifornimenti.
Senza una soluzione in vista, non è da escludere che gli ucraini siano costretti ad affrontare una relativa penuria di materiali nei prossimi mesi. Ciò non sarebbe paragonabile alle prime settimane di guerra o agli immensi problemi che affliggono altri ambiti dello stato di guerra. Un flusso sostenibile e duraturo di sistemi d’arma ed equipaggiamento rimane tuttavia la chiave di volta di una vittoria ucraina che vada al di là di Kherson.