Lessico per la vittoriaDizionario dei nuovi termini introdotti dalla guerra in Ucraina

I neologismi, le espressioni ironiche e le parole che abbiamo imparato in questi dieci mesi. Da «borscht» a «javelin» a «discoteca» come sinonimo dei bombardamenti andati a segno sui russi, fino agli «orchi di Mordor»

Un murales con la bandiera recita “Bakhmut è Ucraina”
Foto: Libkos/AP via Lapresse

Vladimir Putin ci ha messo dieci mesi a chiamare la guerra con il suo nome. Le parole sono importanti, dopo il 24 febbraio ne abbiamo imparate di nuove. Così in Ucraina un invito in «discoteca» può significare qualcosa di diverso dall’andare a ballare, alle ragazze si regalano mazzi di cotone e San Javelin è un protettore laico. In questo nuovo lessico si intrecciano termini coniati nel 2014, l’antefatto dell’invasione, con i neologismi sbocciati dall’inventiva o dal senso dell’umorismo degli ucraini. Qui abbiamo riassunto i principali. Costituiscono una forma di resistenza, perché l’ironia è un’arma incruenta ma efficace come un missile Patriot.

“Another Love
In questo vocabolario, dove procederemo in ordine alfabetico, non può mancare la colonna sonora di chi lotta contro l’oscurantismo, a Kyjiv come a Teheran. Il brano del cantautore inglese Tom Odell risale al 2013, ma è stato riesumato sui social e in particolare su TikTok, dov’è diventata virale una versione corale di voci femminili a un concerto. Le strofe, struggenti e cariche di una sofferenza stanca che però non si arena nella rassegnazione, sono diventate l’inno di una generazione in lotta contro gli oppressori. Sono suonate anche in Iran. Una specie di nuova “Bella ciao”.

Appeasement
È una delle parole del Novecento che ci siamo sorpresi a (ri)pronunciare nel 2022. Le concessioni del primo ministro inglese Neville Chamberlain al Reich nazista non bastarono a disinnescare il Secondo conflitto mondiale. Anzi. Si è evocato lo «spirito di Monaco», dal nome della conferenza di pace che nel 1938 consegnò la Cecoslovacchia ad Adolf Hitler senza consultare il governo di Praga, di fronte al rischio di cedere a un altro fanatismo totalitario e imperialista, quello di Mosca. Ma «l’appeasament con la Russia non ha mai funzionato e mai funzionerà», come ha ammonito la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola.

Bavovna
Con «cotone», ci si riferisce ai bombardamenti ai danni del nemico. Quando Kyjiv centra gli obiettivi, lo Stato maggiore e la propaganda del Cremlino si rifiutano di ammetterlo, provano a negare in modo surreale, parlando di generiche «esplosioni», boati o colpi molto forti. La parola è hlopok, ma è omofona e omografa a quella della fibra tessile, bavovna in ucraino. I liberatori hanno iniziato a chiamare così gli attacchi ai magazzini russi, a sfregio del negazionismo. Non fiori, ma cotone: va di moda regalare mazzi di questa pianta candida.

Un piatto di Borscht
Foto: Rasmus Gundorff Sæderup, Unsplash

Borscht
È sinonimo di casa. Ogni famiglia custodisce e tramanda la ricetta di questa zuppa che dovrebbe diventare il terzo colore della bandiera ucraina. Gli ingredienti: patate, carota, barbabietola, cipolla, cavolo cappuccio, aglio, pomodoro, aromi, brodo di carne o di fagioli, cotti a fuoco lento per un’ora e mezza. Va trovato il giusto equilibrio tra il sapore aspro e dolce. Molto più di una semplice minestra, il piatto a luglio è diventato Patrimonio dell’Umanità. Era la pietanza regina nei libri di cucina dell’Urss, che provò invano ad appropriarsene. Proprio come con l’Ucraina.

Come va con i russi?
Spoiler: non bene. È una delle frasi più famose. «Rusnya» è un dispregiativo per intendere i russi: con «sho po rusni?» ci si chiede come stiano. La risposta è «rusni pyzda!», cioè «i russi si sono fanculizzati». Si stima siano morti centomila soldati della Federazione nell’operazione speciale fallimentare di Putin: dieci volte quelli dello sprofondo decennale in Afghanistan. Rimanda all’epoca sovietica anche lo slang per indicare i caduti, «duecento», dal peso in chili delle bare che tornavano dalla tomba degli imperi.

Chornobaity
È un verbo. Deriva dalla città di Chornobaivka, nella regione di Kherson. All’inizio della guerra, l’esercito russo si era attestato qui, istallando depositi di munizioni. Gli ucraini li hanno centrati una ventina di volte, ma nonostante le perdite il nemico rioccupava le vecchie posizioni. «Chornobaity» significa commettere di continuo lo stesso errore, pagandone le conseguenze.

Discoteca
Non si tratta di andare a ballare. Non in senso letterale, almeno. «Discoteca» è un sinonimo di azione militare. Un’altra immagine curiosa ma evocativa è «candelabro»: descrive un’esplosione al fosforo nel cielo, una specie di fuoco d’artificio bianco. «A zero» è la linea del fronte, mentre «il seminterrato» allude sarcasticamente a cosa succede a chi finisce nelle mani degli occupanti, che si sono lasciati dietro una scia di torture e massacri. A Bucha, a Irpin, ovunque siano passati.

Finlandizzazione
Il vocabolo, mutato dall’equilibrio di Helsinki durante la Guerra fredda, ipotizza(va) per l’Ucraina una condizione simile a quella del Paese scandinavo: neutrale e formalmente indipendente, ma esposto all’influenza di un vicino ingombrante (ieri l’Urss, oggi la Russia). Uno scenario del genere, che avrebbe sacrificato Kyjiv, piaceva ai russofili ansiosi di una trattativa arrendevole e di una resa disarmata. Lo hanno smentito i trionfi della controffensiva. Intanto la Finlandia ha abbandonato la neutralità storica per entrare nella Nato e la sua premier, Sanna Marin, ricorda l’unica formula possibile per la pace: la guerra si ferma solo se la Russia lascia l’Ucraina.

In-tre-giorni
La parola ucraina è «Затридні», si scrive tutto attaccato. Sfotte la boria degli invasori, convinti che la capitale sarebbe caduta «in tre giorni». Dieci mesi dopo, Kyjiv è sempre lì. Libera. Il nemico invece è stato ricacciato indietro. Oggi l’espressione condensa piani irrealistici, idee in cui qualcuno crede ciecamente destinate però a sgretolarsi al contatto con la realtà. Come la fantomatica potenza bellica di Mosca.

Un parassita del Colorado, con lo stesso termine – koloradi – si identificano i soldati russi
Foto: Олександр, Unsplash

Koloradi
È il nome degli scarafaggi della patata del Colorado, un parassita funesto, deleterio per le coltivazioni. L’insetto ha un corpo striato di nero e arancione, i colori dell’ordine di San Giorgio che listano le Zeta e le divise degli invasori. Per estensione, vengono derisi così i separatisti filorussi al soldo del Cremlino. Un altro termine, appioppato soprattutto ai collaborazionisti, è «gauleiter». Rispolvera un lemma tedesco, era la carica degli ufficiali nazisti incaricati di governare le regioni occupate.

Javelin
Una divinità terrena e benigna è invece San Javelin. Meme e persino tatuaggi celebrano questi missili anticarro. Il lanciatore portatile è diventato un’icona profana, degna di una reliquia. Prodotti su larga scala dal 1997, sono stati una delle forniture degli alleati occidentali più apprezzate sul campo. La loro capacità di sfondare la corazza dei tank di Mosca è proverbiale. Sono un fenomeno culturale, con tanto di icona sacra, a effigie di una pagina social che raccoglie fondi per il Paese.

L'iconografia di Saint Javelin che celebra il missile anticarro
Twitter/Saint Javelin

Macronita
Nelle interminabili settimane di escalation, il presidente francese Emmanuel Macron passava settimane al telefono con Vladimir Putin. A giudicare dai risultati, deve aver parlato con la segreteria telefonica. In Ucraina non hanno apprezzato il suo atteggiamento: un’apertura che sembrava fin troppo ansiosa di ascoltare le condizioni del dittatore, seguita da un’antologia di dichiarazioni controverse. Somiglia all’inquilino dell’Eliseo chi si mostra terribilmente preoccupato per qualcosa, ma poi non fa nulla di tangibile per aiutare. C’è anche una versione dedicata al cancelliere tedesco: fare come Scholz vuol dire promettere e promettere, ma non mantenere mai gli impegni. Un omaggio al ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, è invece «shoiguing», cioè fingere sul lavoro che tutto stia andando secondo i piani quando si è «nella merda fino al collo».

Nato
L’Alleanza atlantica non è mai stata così cool. Quanti non addetti ai lavori sapevano che faccia avesse il segretario generale Jens Stoltenberg prima del confitto? Oppure cosa fossero gli articoli 4 e 5 del Patto. Gli Stati membri hanno sostenuto gli sforzi bellici di Kyjiv, ma qui li citiamo per poter trascrivere una barzelletta stupenda raccontata dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky durante l’intervista di David Letterman.
«Due ebrei di Odessa si incontrano. Uno chiede all’altro: “Che si dice?”.
— C’è la guerra.
— Una guerra? quale guerra?
— La Russia si scontra con la Nato.
— Seriamente?
— Ti dico di sì.
— E come sta andando?
— Beh, settantamila soldati russi sono morti. Le scorte di missili sono quasi esaurite e un sacco di equipaggiamento è danneggiato, distrutto.
— E la Nato?
— La Nato non è ancora arrivata».

Nave russa, vai a farti fottere.
D’accordo, non è una parola sola. Ma è già Storia la risposta della guarnigione dell’isola dei Serpenti, sul mar Nero, di fronte alle minacce di un incrociatore russo. Il nemico intimava la resa, altrimenti avrebbe bombardato. «Nave russa, vai a farti fottere» ribattono via radio i tredici soldati (poi liberati) che presidiavano quello snodo strategico. Stampato su adesivi e francobolli, il messaggio è assurto a slogan, simbolo – in un rinnovo del mito delle Termopili – del coraggio di opporsi a forze soverchianti. L’ammiraglia in questione, la Moskva, sarebbe stata affondata ad aprile dai missili Neptune sparati dagli ucraini. «Fare la fine della nave russa» è un modo di dire per cui non servono spiegazioni.

Non-ce-ne-sono
Anche qui, la grafia non prevede spazi. «Ihtamnetu» prende in giro, rovesciandola, una frase di Putin che negava la presenza di soldati russi in Donbas dopo il 2014. Era l’ennesima menzogna, a cui troppi media in Occidente hanno creduto per convenienza, connivenza o entrambe. Nonostante gli accordi di Minsk in due edizioni, il «conflitto congelato» nella regione era già costato quattordicimila caduti prima del 2022.

No fly zone
I leader ucraini hanno chiesto a più riprese agli alleati di aiutarli a «chiudere lo spazio aereo» sopra il Paese. Ricordate? Gli alleati hanno disatteso queste speranze, attenti a evitare quello che Mosca avrebbe interpretato come un coinvolgimento diretto nel conflitto, ma hanno inviato sistemi di contraerea vitali per intercettare le bombe russe e i droni kamikaze. Gli Stati Uniti hanno moltiplicato gli sforzi per impedire all’Iran di fabbricare gli ordigni, che in alcuni casi contengono componentistica occidentale.

Orchi di Mordor
Le truppe nemiche vengono chiamate così, come la mostruosa soldataglia al servizio del Male nella saga del Signore degli Anelli. In un caso la fanteria obbedisce a un signore oscuro e proviene da una terra desolata, imprigionata nelle tenebre di un passato che non passa e invidiosa dei progressi dei popoli confinanti; l’altra esiste solo nella fantasia di Tolkien. Sauron come Putin, insomma. Le armate di entrambi calano da Mordor.

Operazione militare speciale
È una delle distorsioni con cui il Cremlino ha provato a falsificare la realtà. Nello stesso sottogenere troviamo «mobilitazione parziale». Accostamenti ossimorici in assonanza con la «non belligeranza» che si era inventato Benito Mussolini, prima di trascinare pure lui un Paese al disastro. In Russia è vietato chiamare «guerra» l’invasione su larga scala di una nazione libera e sovrana. Recentemente Putin ha rotto il tabù, millantando come al solito di volere la pace. I comuni cittadini che avevano rigettato l’inganno semantico, invece, sono accusati di «screditare le forze armate» e puniti con pene fino a quindici anni di carcere.

Palyanytsia
Significa «pane fatto in casa». È una parola in codice. I soldati russi non riescono a pronunciarla, perché troppo difficile da articolare per chi non parli l’ucraino. Il 21 giugno è apparsa sul New York Times, come ha certificato l’account Twitter che tiene questa speciale contabilità.

Rascismo
È una crasi tra «Russia» e «fascismo». Racchiude crimini di guerra e volontà d’annientamento. Il suo simbolo è la zeta. Il 24 febbraio ha segnato uno spartiacque nella traiettoria della Federazione: non può essere più considerata “solo” un’autocrazia. È cominciato l’ultimo esperimento putiniano, la costruzione di un regime totalitario, fondato su questa ideologia aberrante. È la presunta superiorità «spirituale» di un nazionalismo razzista, una xenofobia claustrofobica, la conversione bellica dell’economia sotto sanzioni, l’imperialismo di matrice coloniale, l’idolatria della morte che – bollinata dal patriarca Kirill – darà «la vita eterna».

Slava Ukraini!
Anche leader e capi di Stato stranieri hanno adottato il motto. Si forgia nelle lotte per l’indipendenza del 1917-21, anche allora contro la spregevole dominazione russa che sarebbe sfociata nel genocidio dell’Holodomor. Traduzione: «Gloria all’Ucraina». Al grido si risponde con «Heroiam slava!», cioè «gloria agli eroi».

TikTok army
L’esercito di TikTok. Sono le bande cecene di Ramzan Kadyrov, iperattive sui social ma ridotte a carne da cannone sul campo di battaglia, alla stregua delle altre minoranze non etnicamente russe della Federazione. Non reggono il confronto con le truppe regolari e i loro upload su TikTok, intrisi di autocelebrazione, sono serviti agli ucraini per geolocalizzarli. E bombardarli.

Un carro armato russo trainato da un trattore ucraino
Foto: Twitter/@Biz_Ukraine_Mag

Trattore
Tra le iconografie più memorabili della guerra c’è sicuramente questa. Un mezzo agricolo ucraino che traina un carro armato russo ridotto a rottame di lamiera. Online c’è una vera e propria compilation. Come per il manipolo dell’isola dei Serpenti, anche questo scatto è finito sui francobolli. Riproduce la caparbietà dei difensori, capaci di smentire tutti i pronostici. Proprio come un trattore, prezioso in tempo di pace, che sconfigge un tank foriero di morte. «Avviare il trattore» ora significa ricorrere a qualcosa di inaspettato, un’arma segreta per sbaragliare gli avversari.

Ucrainizzare
È il contrario di «denazificare», il pretesto delirante di Putin. Invece sono state le forze di Kyjiv a «ucrainizzare» l’esercito nemico. I nazisti, insomma, stavano a Mosca. Le colonne russe avrebbero dovuto marciare al contrario. I soldati ucraini, carichi di equipaggiamento all’avanguardia, sono soprannominati «cyborg», le loro divise «pixel» per la texture che le mimetizza. «Avatar», ispirato al film di Cameron, è invece un fante ubriaco.

Ultimo
Vietato dirlo. Era una superstizione dell’aviazione: mai parlare di «ultima riunione», per esempio. Porta male, è una premonizione di morte. Meglio usare «krajne», difficile da tradurre, ma meno assoluto e più vicino ai nostri «al limite», «sull’orlo». L’accorgimento si è diffuso nella società civile, dove tutti conoscono qualcuno al fronte. Più di semplice scaramanzia, è la commemorazione in vita di chi rischia di morire per noi.

Una Zeta tracciata dai russi durante l'occupazione in Ucraina
Foto: Leo Correa/AP

Zeta
Nell’alfabeto cirillico non esiste, eppure campeggia sui carri armati e sui veicoli degli invasori. È diventata l’icona dell’«operazione militare speciale» e pure del rascismo (vedi sopra). Tra le ipotesi sulla sua adozione: la direzione dell’avanzata, verso Ovest (Zapad), e il nome di Zelensky, nemico pubblico numero uno del Cremlino. Le sfere militari russe hanno avvalorato «Za pobedu», «per la vittoria». In Ucraina circola una battuta: «È una mezza svastica, perché l’altra metà se la sono rubata in magazzino». Deride al tempo spesso la miseria dell’esercito nemico e la corruzione sistemica che ha contribuito a indebolirlo.

A questo dizionario, forse, manca una parola. Ci permettiamo di aggiungerla.

Ucraina, sinonimo di coraggio indomito e di libertà.

 

(Si ringraziano per l’aiuto Yaryna Grusha Possamai e Kateryna Kovalenko)