Marxista-leninista, membro dell’organizzazione transnazionale radicale «Incontro internazionale dei Partiti comunisti e operai», euroscettico, anti-Nato e aperto nei confronti di Vladimir Putin. No, non è uno dei tanti partiti della sinistra radicale condannati alla marginalità politica, ma un movimento in salute e in crescita. Il Partito dei Lavoratori del Belgio (Pvda) è un’anomalia in un’Europa in cui i progressisti duri e puri sono quasi scomparsi.
I sondaggi, realizzati in vista delle elezioni del 2024, lo accreditano del diciannove per cento dei voti nella regione francofona della Vallonia, del nove per cento nelle Fiandre, del tredici per cento a Bruxelles e di circa venti seggi su 150 a livello nazionale, al terzo o quarto posto tra i partiti del Belgio. Un risultato di tutto rispetto per un movimento che sino al 2010 viaggiava intorno all’uno per cento e che nel 2019 ha sfiorato il dieci per cento dei voti.
Questa formazione ha le sue radici nel movimento studentesco fiammingo degli anni Sessanta, la cui parte più radicale aderì al maoismo e si inserì nei movimenti operai e portuali della città di Anversa. I modesti risultati elettorali ottenuti negli anni e una controversa alleanza con la Lega Araba Europea, in occasione delle elezioni del 2003, provocarono un processo di rinnovamento interno culminato nell’espulsione di alcuni membri e in una metamorfosi in occasione del Congresso del 2008.
Da allora sono state adottate una serie di linee guida partitiche, rivelatesi poi vincenti. Tra queste la partecipazione a tutti i conflitti sociali ed economici con la presenza organizzata nei luoghi di lavoro, l’attenzione ai problemi dei ceti popolari con obiettivi raggiungibili e senza rotture, presenza di operai e lavoratori nella rappresentanza istituzionale del partito, enfasi sulla solidarietà.
Il Partito dei Lavoratori del Belgio ha iniziato ad attirare l’interesse dell’opinione pubblica nel 2018 quando ha ottenuto il quindici per cento dei voti alle elezioni locali in diverse città belghe, ma le ragioni del suo successo vanno ricercate, secondo il portale Nation Builder che ne ha curato l’immagine online, in un’organizzazione tattica ineccepibile messa in campo dai quadri del partito e nella crescente popolarità dei partiti anti-establishment in Belgio.
La lotta al cambiamento climatico e alle politiche di austerità, centrali nel manifesto elettorale, sono state affiancate, come ricordato dal webmaster del movimento Elio Serluppens, «dal lavoro instancabile dei volontari che ha convinto moltissime persone». Uno strumento importante è stato l’uso strategico e oculato delle telefonate ai cittadini, una pratica comune negli Stati Uniti ma considerata intrusiva in Belgio.
Una delle caratteristiche del sistema politico belga è la divisione, su basi linguistiche, dei principali partiti. Negli anni Settanta le formazioni diedero vita a una sezione fiamminga nelle Fiandre e a una francese in Vallonia. Il risultato è stata una frammentazione, con dodici partiti rappresentati in Parlamento e un indebolimento dell’identità nazionale. In Belgio l’autonomia funziona e tanto le Fiandre quanto la Vallonia hanno i propri Parlamenti e governi dotati di ampi poteri.
La capitale Bruxelles è una regione a parte. C’è poi la comunità autonoma tedesca e il governo centrale, spesso instabile e frutto di coalizioni, che deve dialogare con tutti e cercare di imporre una linea comune nei settori di sua competenza. Il Partito dei Lavoratori è l’unica eccezione alla regola: si presenta unito in tutta la nazione e dispone di una rete di cliniche gratuite per curare i più indigenti.
Lo stile comunicativo semplice e informale ha addolcito l’immagine, ma il movimento non mostra la minima ambiguità nei confronti dell’ideologia marxista-leninista e della sua rigida applicazione sulla società. Il sistema elettorale del Belgio, un proporzionale con sbarramento al cinque per cento, rende quasi impossibile l’ottenimento della maggioranza assoluta da parte di un singolo partito e la prospettiva di un regime comunista a Bruxelles è pura fantapolitica.
Non bisogna dimenticare, però, che crisi economiche, scandali e sfiducia hanno portato alla vittoria, in altri Paesi europei, movimenti radicali di destra e di sinistra che in passato erano marginali oppure sottostimati. Il Belgio, dove l’estremismo di destra del partito fiammingo Vlaams Belang monopolizza l’attenzione, rischia di sottovalutare la minaccia molto concreta del Partito dei Lavoratori.
Raoul Hedebouw, eletto alla presidenza del Partito dei Lavoratori con il 94 per cento dei voti all’inizio del 2022, è uno degli assi nella manica del movimento, grazie a una esibita simpatia bonaria, ma persino lui non può nascondere le controversie di un partito che si è rifiutato di condannare l’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina e che non ha nascosto i propri legami di amicizia con Paesi poco noti per il rispetto della democrazia come il Vietnam.
L’ex leader del Partito dei Lavoratori Peter Mertens ha incontrato, nel settembre 2021, il presidente dell’Assemblea nazionale di Hanoi promettendogli di sostenere le posizioni del Vietnam tanto nel Parlamento europeo quanto in quello del Belgio.
Il periodico Le Soir ricorda le relazioni amichevoli che sono intercorse tra i marxisti belgi e la Corea del Nord, una delle nazioni più chiuse e impermeabili del mondo, mentre nel 2020 i radicali di sinistra sono stati gli unici a votate contro, nel Parlamento di Bruxelles, l’invio di quattro caccia F-16 in Iraq e Siria su richiesta degli Stati Uniti.
Non sono mancate, infine, accuse di vicinanza e sostegno al presidente siriano Bashar al-Assad, respinte al mittente dai diretti interessati. Un quadro complessivo che è difficile non definire preoccupante e che rischia di agitare la tranquillità del Belgio.