Wishful SilvioBerlusconi è un dagherrotipo, ma nessuno ha il coraggio di dirglielo

Forza Italia gli si aggrappa per sopravvivere e lui sfodera il solito repertorio e gli stessi aneddoti. Alla convention adorante di Milano, Berlusconi parla della minaccia cinese, però non spende una sola parola sulla guerra all’Ucraina

Milano, giornata conclusiva della Convention di Forza Italia
AP Photo/Luca Bruno

Il ritorno di Silvio Berlusconi, con un video registrato al San Raffaele, è un evento importante. Non solo dal punto di vista personale. Al di là dei giudizi estetici-comunicativi che ognuno è libero di esprimere, è la dimostrazione che il Cavaliere ha ancora voglia di combattere, di essere la «spina dorsale», come dice lui stesso, della maggioranza di centrodestra. Non è proprio così in un governo dove lo scettro del comando è nelle mani di Giorgia Meloni.

Ancora una volta, tuttavia, dimostra una tempra umana eccezionale. Chapeau, a un signore che si avvicina ai novant’anni e che ha segnato comunque gli ultimi trenta anni della storia politica italiana. Le sue giravolte, l’invenzione del bipolarismo e del centrodestra; le trovate narrative contro i comunisti in agguato alle nostre libertà costituzionali, i colpi di scena nella gestione del partito padronale (mai nessuno con il «quid»); le rivoluzioni liberali tradite, i processi e l’uscita di scena nel 2011 che sarebbe stata causata dal presunto colpo di mano delle «consorterie europee» (definizione cara alla premier nella fase sovranista); i fine settimane nelle dacie di Vladimir Putin e il «sacrificio» di un imprenditore di sicuro successo nel dover scendere in politica perché Mani pulite aveva disintegrato i partiti del pentapartito, a cominciare da quello socialista del suo caro amico Bettino Craxi, e minacciato la sua «roba».

Parte sempre da quel crinale scivoloso e fangoso, con la mafia stragista all’attacco al cuore dello Stato, a cavallo tra il 1993 e il 1994, il racconto di Berlusconi. Ripete per l’ennesima volta, con gli annessi aneddoti della mamma e dei figli sconvolti dalla sua decisione di fondare un partito, la sua storia alla convention adorante di Milano. Un’ammirazione autentica da parte di quel sei-otto per cento di italiani che continuano a votarlo, votano lui: sono il residuo zoccolo duro del berlusconismo, il primo fenomeno populista e mediatico, dilaniato dalla Lega prima e da Fratelli d’Italia dopo. I colonnelli e generali presenti agli East End Studios se lo tengono stretto per sopravvivere. Sono drammaticamente aggrappati alla precaria salute del capo.

Nessuno di loro è impalmato della successione, neanche il reggente Antonio Tajani. Sanno che senza Berlusconi, il ruolo, la poltrona, il partito scomparirebbero come una bolla di sapone. Per cui vederlo di nuovo, anche se in video, parlare, pur masticando qualche parola, ricordare il passato e indicare il futuro delle elezioni europee, è stato un momentaneo ricostituente. Infine, ma non in ultima analisi, ci sono i contenuti, quello che ha detto il Cavaliere ma soprattutto che non ha detto. Ha dedicato più di dieci minuti all’amarcord e i restanti sette-otto all’attualità politica. Da questo punto di vista è stato sconfortante.

Dopo il fermo immagine, il dagherrotipo che parlava dei comunisti (Occhetto?) di trenta anni fa, si è soffermato sui comunisti veri di oggi, i cinesi che potrebbero invaderci. Cosa che hanno fatto commercialmente, del resto, ma non ancora militarmente, mentre non ha speso una parola, una sola, sulla guerra vera ed esiziale alle porte dell’Europa democratica. L’ex premier, che si vanta di aver fatto stringere la mano a Vladimir Putin e George W. Bush a Pratica di mare e avere fermato i carri armati russi alle porte della Georgia, sorvola. Evita di ripetere che lo zar di Mosca avrebbe fatto bene a rimuovere Volodymyr Zelensky per insediare a Kyjiv gente in gamba.

Non dice nulla sull’immigrazione, sul Pnrr, sulle paure dei governatori meridionali del suo partito per le conseguenze dell’autonomia differenziata (alla convention non si è sentita la voce polemica di Renato Schifani a tale proposito). Zero sulle riforme costituzionali, il presidenzialismo, sulla transizione ambientale e digitale. Nulla sulla torsione a destra dei Popolari europei che lui sta favorendo in direzione dell’alleanza con i Conservatori di Meloni e polacchi. Non vola alto come lo statista che vuole apparire, non sfiora nemmeno le grandi sfide poste dalla strategia geoeconomica annunciate dal consigliere di Biden per la sicurezza nazionale Jake Sullivan. Berlusconi propone solo se stesso per rassicurare le truppe spaventate e divise.

«Eccomi, sono qui per voi, in giacca e camicia dopo un mese», ha esordito nel video ospedaliero, sulla falsariga del suo debutto su Tik Tok a settembre dello scorso anno. («Ciao ragazzi, eccomi qua»). Esagera Roberto Gasparotti, lo storico cameraman di Berlusconi che girò nel ‘94 il famoso video della «discesa in campo», esagera quando dice che è vergognoso usare il presidente per un video così «angoscioso».

Lui non si fa usare. Si aggrappa in maniera tenace a un mondo che non c’è più. Addirittura fa dire a Tajani che Forza Italia può recuperare terreno anche verso i delusi del Pd e del Terzo Polo. Poi, chissà, riuscirà anche in questa ultima impresa, lasciandoci con un palmo di naso. Ancora una volta. Fino a quando avrà l’ultima goccia di energia. Anche se non ci crediamo, neanche un poco.

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