Better call GennaroBellicapelli, la cultura dei fuorionda e l’ignoranza televisiva degli editorialisti in tv

Nel mio settimo articolo sulla giambruneide vi spiego due cose: la prima regola è non ingarellarsi con Antonio Ricci, la seconda è che se ti fai beccare a dire cose stupide con le telecamere sempre accese non sei un tapino distratto, ma un esibizionista

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Giornali italiani, abbiamo un problema. Più di uno, ma uno è quello su cui intendo concentrarmi oggi. E sì, è un problema svelato dalla saga di Bellicapelli. Ma collaterale, ragione per cui mi rifiuto di considerare questo il mio settimo articolo sulla giambruneide.

Anche perché, diciamolo: se della giambruneide mi fossi occupata oggi, l’avrei fatto per scrivere una biografia del miglior personaggio emerso da questo pasticcio, Gennaro Capasso detto Gennarononsbagliamai. E invece.

E invece ieri apro La Stampa, e scopro che Flavia Perina ha violato una regola che in confronto «non si parla del Fight Club» era robetta. In un evidente attacco di delirio d’onnipotenza, Flavia Perina si è ingarellata (mi scuso per il romanesco, è per farmi capire meglio da Perina stessa) con Antonio Ricci.

Ora, prima di proseguire col racconto dei fatti occorre che ci accordiamo sulle regole d’ingaggio. Prego di non proseguire nella lettura tutti i sensibili beoti convinti che esista il giornalismo con-la-G-maiuscola che racconta la-verità-con-la-V-Maiuscola.

Prego di procedere solo se siete abbastanza adulti da essere consapevoli che la comunicazione è l’arte di rigirare frittate, e che nessuna persona di buonsenso, in questo balordo paese, pensa di saperle rigirare meglio di Antonio Ricci (è la ragione per cui ha fatto molti più soldi di noi: chi ha successo ha ragione).

Ricostruzione dei fatti. L’altroieri Flavia Perina firma, sempre sulla Stampa, un articolo sulla cultura dei fuorionda. È un articolo a tesi, e quindi mette insieme un po’ a forza cose diverse, tra cui il caso Mesiano, che in quest’epoca di presentismo sembra preistoria. Nel 2009 Studio aperto mandò in onda delle immagini del giudice che aveva multato Silvio Berlusconi dicendo che i suoi calzini azzurri dimostravano che era un personaggio bizzarro.

Perina lo riporta come un esempio di quel format dello sputtanamento che avrebbe conosciuto il suo tipping point (mi scuso per il malcomgladwellismo, è per farmi capire meglio al Dams) col caso Giambruno; ma dimentica – credo per autentica non conoscenza dei gineprai in cui si avventura, e non per selettiva omissione – due dettagli.

Il primo è che gli unici sputtanati all’epoca furono quelli di Studio aperto: Claudio Brachino venne persino sospeso dall’Ordine dei giornalisti, che non conta un cazzo ma in questo secolo innamorato dei gesti simbolici è già qualcosa; in generale, non c’è uno spettatore che all’epoca abbia detto «ah!, i calzini azzurri, lo sapevo che non c’era da fidarsi», e non «ma tu guarda questi imbecilli di giornalisti».

I calzini azzurri divennero per qualche settimana patrimonio della comicità nazionale, non quanto Giambry ma poco ci manca, e spero che ormai a tutti, dopo anni che Ricky Gervais e io predichiamo invano, sia chiara la differenza tra il bersaglio di una battuta e il suo oggetto, e che quindi le battute sui calzini azzurri erano battute sullo stato del giornalismo in questo derelitto paese.

Il secondo dettaglio che non è chiaro a Perina sta nell’ultimo rigo di questo suo primo articolo sul tema dei fuorionda, ed è un vibrante «no, questa non è informazione». Trattenetevi dal moto spontaneo a concludere «Festivalbar con la cassa dritta», e fate attenzione: non sta più parlando dei calzini al tg, sta parlando di Striscia la notizia.

Ci sta dicendo che un varietà con le risate registrate, condotto da due comici (o da Alba Parietti, a seconda dei momenti storici), con le Veline che sculettano, e come protagonista principale un pupazzo rosso che parla in genovese, ci sta svelando che – ohibò – quella non è informazione. Maggiùra.

Ora io so bene cosa stanno pensando i miei amici con la mistica del giornalismo: ma in principio fu Antonio Ricci, e quelle cose che lui fa ridendo altri le fanno sul serio, e hanno imparato a farle da lui. Cattivi maestri, si diceva ai tempi in cui Perina e Ricci erano giovani.

Però c’è una differenza che fa tutta la differenza del mondo, e che risiede in quella frase ricciana che ho citato già in un migliaio di articoli: a Striscia «Vergogna!» può dirlo solo il Gabibbo, che è un pupazzo.

Se nei decenni trascorsi dall’invenzione di Striscia tutta la tv d’informazione – e persino alcuni varietà emuli, anch’essi con balletti, che ritengono di fare informazione – ha adoperato lo stilema dell’inviato che corre dietro al derelitto del giorno urlandogli domande scomode, probabilmente è responsabilità di Antonio Ricci. Se l’hanno fatto e lo fanno tutti prendendosi sul serio, decisamente no. Gli inviati di Piazzapulita o delle Iene sono convinti di fare informazione scomoda, mica d’essere il Gabibbo.

Non è che Perina sia sola, in questa confusione di generi. Annalisa Cuzzocrea, ospite d’un programma minore su La7, ha ritenuto di dire «io mi sono chiesta, ma io, avessi avuto quella cosa, quel materiale lì, cos’avrei fatto?», e di concludere che lei non l’avrebbe mandato in onda. Ma Cuzzocrea fa la giornalista, mica l’autrice di varietà.

La confusione di generi è un problema minore rispetto alla piattissima curva d’apprendimento di editorialisti di quotidiani che passano tutto il tempo che possono dentro studi televisivi dei quali sono riusciti finora a non comprendere il funzionamento.

Qualche giorno fa, su Repubblica, Stefano Cappellini scriveva: «Se Meloni si ritiene colpita dolosamente, la domanda è obbligatoria: da chi? Da qualcuno che ha recapitato i fuori onda di Giambruno a Striscia?». Credevo, fino a ieri, che quello di Cappellini fosse un caso isolato.

Il caso eccezionale di uno che non sa – pur facendo di secondo lavoro l’ospite televisivo, e avendo una moglie conduttrice – che esiste la bassa frequenza (cioè: le immagini degli studi televisivi trasmesse sui monitor a circuito chiuso dentro l’azienda televisiva). E che, se sei quello che si è inventato il concetto di fuorionda, plausibilmente avrai dei redattori perpetuamente seduti di fronte a quei monitor.

Specie se in uno degli studi della tua azienda c’è il marito della presidente del Consiglio, le cui eventuali spacconate durante la pubblicità saranno materiale da intrattenimento più prezioso di quelle del conduttore delle previsioni del tempo.

Mi scuso con Cappellini: credevo fosse l’unico al mondo così scevro di nozioni televisive da pensare che i «fuorionda» qualcuno li debba «recapitare», da ignorare che sono più di vent’anni che i «fuorionda» non sono più tali. Non sono più distrazioni colpose di tapini inconsapevoli: sono scelte dolose di esibizionisti aggravati.

Ieri, La Stampa ha pubblicato una lettera firmata «l’ufficio stampa di Striscia la notizia». Antonio Ricci, essendo più bravo di me e di voi a rigirare le frittate, sostanzialmente dice: e allora voi, che avete pubblicato video e quattrocento articoli del rinfaccio di corna tra Seymandi e Segre (forse ve ne ricordate, fu lo scandalo che per un quarto d’ora c’intrattenne quest’estate).

Invece di, scusate il romanesco, fare pippa, Perina pensa bene di rispondere. E di rispondere in un modo che qualcuno – un parente, un amico, un caposervizio – avrebbe dovuto scoraggiare, dicendole che insomma, se una vuole suicidarsi ci sono modi meno ridicoli.

Sostiene Perina che il caso Seymandi aveva una caratteristica che il caso Giambruno non avrebbe: «Pubblico il luogo, pubblica la scenata, pubblici i filmati, evidente l’intenzione del protagonista di dare la massima pubblicità alla sua intemerata».

Continua l’ingenua Perina: «Il caso Seymandi a me pare l’esatto contrario di un fuorionda, che come dice il termine è la diffusione di conversazioni carpite all’insaputa dei diretti interessati». All’insaputa. In uno studio televisivo. Con le telecamere accese. Col microfono addosso. Te ne stai bello sereno come nel tinello di casa tua con tuo cugino e poi, ma tu guarda, arriva Ricci a sputtanarti. Una dinamica talmente imprevista che nello stesso fuorionda c’è qualcuno che gli dice qualcosa tipo: guarda che se ti sente Striscia sono guai.

Ma no, dice Perina che se molli la tua fidanzata parlando in un microfono a una festa, e lo fai nel 2023, quando in ogni telefono c’è una telecamera, devi ragionevolmente aspettarti di venire sputtanato; se invece sei lì col microfono e la telecamera e la tradizione del programma principale della rete che sputtana i suoi conduttori, allora non c’è ragione di pensare che finirà male.

L’unica domanda ragionevole da farsi è: Giambruno è corrente Emilio Fede o corrente Gennaro Capasso? Fede ci mise un bel po’ a capire che Ricci i suoi filmati li prendeva dalla bassa frequenza delle telecamere del Tg4. Era convinto che Striscia avesse una telecamera nascosta nel suo studio.

Gennarononsbagliamai, invece, in un video in cui spiega la propria vocazione dice che «oggi l’uomo vuole sentirsi una star: ci rendiamo conto che l’uomo oggi è molto più vanitoso di una donna». E forse è questa, la questione.

Che uno che ha cinquant’anni meno di Emilio Fede e sa come funziona la tv non finisce in un fuorionda per caso, nel 2023. Ci finisce per vanità. A meno che non sia un editorialista di quotidiano, di quelli che si fanno firmare la liberatoria dal direttore per andare a mostrare le piume in tv, ma poi neppure capiscono verso quale telecamera indirizzare la ruota.

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