Urbi et orbiLe polemiche mondiali contro le benedizioni alle coppie omosessuali

La decisione del Dicastero per la Dottrina della Fede ha suscitato reazioni negative in Polonia e in molti Stati africani e sudamericani. La Fiducia Supplicans è stata osteggiata addirittura da due porporati nominati da Bergoglio: l’ivoriano Jean-Pierre Kutwa e il congolese Fridolin Ambongo Besungu, rispettivamente arcivescovi di Abidjan e Kinshasa

AP/Lapresse

Natale senza pace non solo in Ucraina, in Terrasanta e in tante altre parti del mondo a causa delle guerre. Ma anche in quella Chiesa cattolica che, sparsa nei cinque continenti, conta un miliardo e circa trecentosettantasei milioni di fedeli. Non si tratta ovviamente in questo caso, e per fortuna, di conflitti armati con morti e distruzioni. Ma di contestazioni che squassano gli animi e, montando sempre di più come violenta tempesta, giungono a lambire la «sede più alta» di agostiniana memoria. Il casus belli risale ad poco più di dieci giorni fa, quando cioè, il 18 dicembre, è stata pubblicata la dichiarazione Fiducia supplicans del Dicastero per la Dottrina della fede sulle benedizioni alle coppie di persone dello stesso sesso e «in situazioni irregolari». 

Si era già parlato su Linkiesta di effetto tsunami del documento in ragione della sua portata novatrice rispetto al precedente magistero e, in particolare, del Responsum ad dubium dello stesso ex Sant’Uffizio, che il 22 febbraio 2021, dopo debita approvazione pontificia, ne aveva reso noto il giudizio negativo e pubblicato la relativa Nota esplicativa. Ma un’ulteriore ragione comprova da ultimo la giustezza di un tale metafora, vale a dire l’ampia e continua protesta contro il documento vaticano. Tanto più che ad animarla sono vescovi di ogni latitudine e in numero di giorno in giorno crescente. 

È infatti un coro, quello dei non possumus, che non è innalzato dai soli presuli antibergogliani in pensione, come l’arcivescovo statunitense Charles Joseph Chaput, l’arcivescovo argentino Héctor Rubén Aguer o il vescovo elvetico Marian Eleganti, oppure  trombati, in modo non di rado vendicativo, dal papa argentino, come i ben noti Gerhard Ludwig Müller, Carlo Maria Viganò, Joseph Edward Strickland (ed è stato proprio quest’ultimo, recentemente rimosso dalla guida pastorale della diocesi statunitense di Tyler a dare fuoco alle polveri proprio il 18 dicembre). Ma anche, e soprattutto, da quanti sono stati scelti per l’episcopato o promossi a più importanti sedi o elevati addirittura alla porpora da Francesco. 

È il caso, ad esempio, del cardinale arcivescovo di Montevideo, il salesiano Daniel Fernando Sturla Berhouet, che ha parlato di documento inopportuno a pochi giorni dal Natale, contenutisticamente confusionario, comunque non vincolante – non essendo «un pronunciamento del papa che ha un valore dogmatico» – e di «sacerdoti sconcertati», cui ha consigliato di attenersi a quanto si è sempre fatto: benedire non già le coppie, ma le singole persone componenti le stesse. Riconoscendo senza giri di parole che la Fiducia supplicans è chiara nell’ammettere la benedizione, sia pur non ritualizzata, di una coppia dello stesso sesso, il porporato uruguaiano ha al contempo ribadito la contraddittorietà di un tale disposto «con tutta la tradizione della Chiesa», incluso il citato Responsum del 2021. 

Chiarezza e parresia, di cui hanno invece dato scarsa prova i vescovi polacchi. Almeno a giudicare dal comunicato del gesuita Leszek Gęsiak, portavoce della Conferenza episcopale della terra di Wojtyła. Nel testo, diffuso il 21 dicembre, si afferma infatti che «non possono ricevere una benedizione» le persone che «permangono in relazioni omosessuali». Superando a piè pari quanto previsto e concesso dalla Fiducia supplicans, l’episcopato polacco ne ha fatto così mendacemente coincidere il dettato di novità con quello della la Nota esplicativa del 2021 sì da attribuire alla prima le parole della seconda: «Sia la Dichiarazione sia la Nota affermano esclude che non si “esclude che vengano impartite benedizioni a singole persone con inclinazione omosessuale, le quali manifestino la volontà di vivere in fedeltà ai disegni rivelati di Dio così come proposti dall’insegnamento ecclesiale”. Si tratta quindi di singole persone che vivono in completa astinenza». Insomma, un vero gioco di prestigio. 

Ha fatto eco ai confratelli polacchi, senza però cadere in interpretazioni stiracchiate, la Conferenza episcopale ungherese, che mercoledì 27, nel diramare uno specifico comunicato ed espressamente richiamare la specifica «situazione pastorale del […] Paese», ha ricordato ai propri chierici la possibilità di benedire «tutte le persone individualmente a prescindere dalla loro identità di genere e dal loro orientamento sessuale». Vietate, dunque, di fatto le benedizioni alle coppie dello stesso sesso: «È necessario – così il testo – che si eviti sempre d’impartire una benedizione comune alle coppie che convivono in un’unione non matrimoniale, in un matrimonio non ecclesialmente valido o in una relazione omosessuale». 

E, se Tomasz Peta, ordinario dell’arcidiocesi kazaka di Maria Santissima in Astana, e il suo ausiliare, il dotto Athanasius Schneider, hanno agitato lo spettro dell’«empia ideologia del gender» e formalmente proibito al proprio clero d’impartire «qualsiasi forma di benedizione di coppie in situazione irregolare e di coppie dello stesso sesso», ha parlato, invece, di dichiarazione «limitata esclusivamente alla Chiesa latina» e perciò priva di «valore giuridico» per le Chiese orientali l’arcivescovo maggiore di Kyijv-Halyč e presidente del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina, Svjatolslav Ševčuk. Il quale, si sa, non è nuovo a critiche serrate nei riguardi di Bergoglio, cui non perdona, come dicono, la sua mancata elevazione a patriarca.

Alla scontata esultanza di conferenze episcopali quali, ad esempio, quelle di Austria, Belgio, Germania, Svizzera si sono accompagnate in Europa le reazioni asettiche degli altri episcopati, a partire da quello ispanico e italiano. Quest’ultimo ha preferito non diffondere neppure un comunicato di ricezione, affidandone il commento al cardinale presidente della Cei, Matteo Maria Zuppi, che, ospite il 23 dicembre a Restart su Rai3, ha parlato di fermezza della Fiducia supplicans «sulla dottrina e sul fatto che non è una benedizione al matrimonio, alla relazione». Con tanto di tirata d’orecchie ad «alcuni cristiani cattolici, che, al contrario, pensano questo».

Di non adozione delle direttive della Fiducia supplicans nella propria diocesi è arrivato a parlare, quel medesimo giorno, il vescovo brasiliano di Formosa, Adair José Guimarães, ravvisando nel documento vaticano una fonte di «scandalo e incomprensione». Sempre nel Paese sudamericano, che ha fra l’altro il più alto numero di cattolici al mondo (quasi centottanta milioni stando all’ultimo Annuarium statisticum Ecclesiae), hanno avanzato osservazioni, sia pur con toni più sfumati, i vescovi di Campanha e Propriá nonché l’amministratore apostolico di Aracaju. 

Ma gli attacchi più massicci alla dichiarazione dell’ex Sant’Uffizio continuano a venire dal continente africano. Hanno finora diffuso comunicati durissimi di critica del documento e non applicazione dello stesso le Conferenze episcopali di Angola e São Tomé, Benin, Camerun, Gabon, Ghana, Malawi, Mozambico, Nigeria, Ruanda, Togo, Zambia, Zimbabwe: la Fiducia supplicans andrebbe contro non solo alle Scritture e all’insegnamento costante della Chiesa, ma anche alle tradizioni culturali africane e alle leggi penali vigenti in molti Paesi. 

Aspetto, quest’ultimo, che richiamato anche dall’arcivescovo di Nairobi, Philip Anyolo, desta non poche inquietudini, visto l’aperto appoggio o comunque il silenzio-assenso degli episcopati a normative che criminalizzano i rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso con pene carcerarie fino all’ergastolo. I quali, già giustamente richiamati su questo punto in gennaio da Francesco, stanno offrendo un’ulteriore riprova tanto d’insensibilità alla più generale questione di lotta alle discriminazioni quanto d’insofferenza a certo magistero d’Oltretevere.

Né si dimentichi, infine, nell’opposizione alla Fiducia supplicans il ruolo di peso assunto sin da subito da due porporati di creazione bergogliana: l’ivoriano Jean-Pierre Kutwa e, soprattutto, il congolese Fridolin Ambongo Besungu, rispettivamente arcivescovi di Abidjan e Kinshasa. Il secondo, in quanto presidente del Secam (Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar), ha formalmente sollecitato i presidenti di tutte le conferenze episcopali del continente a esprimere la propria opinione sul documento del Dicastero per la Dottrina della fede. Appellandosi poi, non senza astuzia, al capitolo 19, d della Relazione di sintesi della prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, ha esplicitato le ragioni della sua richiesta: la redazione di un documento unico sulle benedizioni a coppie di persone dello stesso sesso, valido per tutte le diocesi africane.

Insomma, Bergoglio ha fatto, almeno in termini di opportunità, un enorme passo falso. E non sono pochi i presuli – un italiano, che ha ovviamente taciuto sulla Fiducia supplicans, me l’ha detto apertis verbis – che paventano addirittura uno scisma. Quod Deus – esclamerebbe più d’uno – avertat!

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