Le elezioni del 4 luglio hanno confermato le sensazioni della vigilia, certificando la super disfatta dei conservatori e del primo ministro uscente Rishi Sunak, nella peggiore notte elettorale di sempre per uno dei partiti più antichi al mondo. La strategia di Sunak ha attraversato più fasi in questa campagna: il tentativo disperato di rimonta all’inizio, con qualche bugia di troppo sul programma del Labour; poi le gaffes, come la ritirata frettolosa dalle celebrazioni del D-Day in Normandia; infine, l’ultimo appello all’elettorato Tory agitando lo spettro della potenziale «supermaggioranza» laburista.
Le campagne elettorali di successo devono avere una linea chiara, quella che è mancata ai Tories nel 2024: Starmer ha girato il Paese sfoggiando un grande logo rosso con la scritta «Change» e ha portato il Labour fuori dall’era Corbyn, producendo azioni e messaggi lampanti. Parte del problema per la campagna di Sunak, invece, è che quasi tutto ciò che ha fatto è parso confusionario, improvvisato e poco comprensibile. Ad esempio, pochi giorni prima del voto i conservatori non avevano ancora trovato una spiegazione coerente sul perché le elezioni si siano svolte questa estate.
La questione più ampia però è che a Sunak non sarebbe bastata nemmeno la campagna più efficace della storia, perché l’obiettivo principale dei britannici era voltare pagina dopo quattordici anni di governo conservatore. Per vincere serviva un’impresa, un gol in rovesciata all’ultimo minuto come quello di Jude Bellingham che ha salvato l’Inghilterra dall’eliminazione contro la Slovacchia agli Europei, oppure uno sprint finale alla Mark Cavendish, il velocista britannico che questa settimana è diventato il corridore con più vittorie nella storia del Tour de France.
«Non è finita finché non è finita», ha twittato con tono ottimista il primo ministro dopo l’incredibile rimonta della Nazionale. Invece, per i Tories il cammino è stato in salita sin dalle prime battute, già da quando Sunak ha annunciato l’inizio della campagna elettorale sotto la pioggia di Downing Street. O, andando più indietro, dal disastroso mandato di Liz Truss, che ha servito come premier per soli quarantacinque giorni nel 2022, prima di essere costretta a dimettersi dopo aver innescato un crollo dei mercati finanziari con il suo pacchetto fiscale.
Le conseguenze economiche di quella crisi si fanno sentire ancora oggi, così come il disastro della gestione conservatrice della Brexit. Sir Anthony Seldon, probabilmente il principale storico contemporaneo britannico, ha pubblicato a giugno una raccolta di saggi scritti da accademici e altri esperti sul mandato conservatore dal 2010 al 2024, giungendo alla conclusione che questa possa essere considerata la peggior era di governo dal 1945 in poi.
Adesso per i Tories è il momento di cercare nuovi orizzonti politici e il futuro è incerto quanto il presente: la lotta per la successione di Sunak si è aperta ufficiosamente già negli ultimi mesi, dando per certa la sconfitta; il Times di Londra aveva riportato nei giorni scorsi la registrazione di nuovi domini per siti web da parte dei possibili candidati alla leadership. I nomi sono tanti e qualche testa è già caduta durante la notte elettorale, considerando che le elezioni del 4 luglio hanno visto il maggior numero di seggi persi da ministri uscenti, come il segretario alla Difesa Grant Shapps, che aveva servito ai livelli più alti per oltre un decennio. Anche la leader parlamentare Penny Mordaunt, altra potenziale contendente per la guida del partito, ha perso il suo seggio nel sud dell’Inghilterra, a Portsmouth.
In ogni caso, la favorita numero uno dai bookmakers (quota di quattro a uno, per gli amanti delle scommesse) è Kemi Badenoch, la segretaria di Stato per le Imprese e il Commercio, di orientamento vicino al centrodestra. I nomi in corsa includono anche due centristi come il ministro per la Sicurezza Tom Tugendhat e quello dell’Interno James Cleverly, mentre dalle frange più vicine all’estrema destra potrebbero emergere due ex ministre dell’Interno come Priti Patel e Suella Braverman.
Nel frattempo, a Sunak potrebbe essere chiesto di restare come leader dell’opposizione ad interim, similmente a quanto fece Michael Howard dopo la sconfitta del 2005. Il Mail on Sunday ha addirittura ipotizzato che potrebbero esserci due competizioni, quella per la guida temporanea e quella per la leadership definitiva. Diversi candidati conservatori hanno indicato Oliver Dowden, vice primo ministro, come una buona opzione per il ruolo di traghettatore.
Secondo il Telegraph, i sostenitori di Kemi Badenoch ora starebbero cercando di ritardare qualsiasi futura competizione, possibilmente fino a dicembre, per darle la migliore possibilità di vittoria. Siamo già ampiamente allo «shadow boxing» (in italiano «pugilato a vuoto»), un esercizio fondamentale della boxe, dove il combattente esegue tutte le normali tecniche della sua disciplina indirizzandole verso un ipotetico avversario immaginario: nel caso dei Tories, i potenziali candidati hanno già iniziato a competere e ad attivarsi sottotraccia.
Nelle ultime settimane, gli aspiranti leader hanno nominato collaboratori chiave e si sono avvicinati ai colleghi parlamentari nei seggi più sicuri, per testare il loro sostegno. Di solito la leadership conservatrice è decisa dai parlamentari, che selezionano i due candidati finali, e dai membri del partito, che tendono a essere più orientati verso destra e determinano il vincitore finale. Le regole e le tempistiche della corsa non sono ancora chiare, ma di sicuro la battaglia per la successione contribuirà a plasmare la politica britannica nei prossimi anni, soprattutto se il Partito conservatore inasprirà ulteriormente le sue posizioni ideologiche.
Se si guarda a destra, si può scorgere anche il convitato di pietra di questa lotta: il leader di Reform Uk Nigel Farage, uomo della Brexit e amico di Donald Trump, che agli eventi arriva con «Without me» di Eminem in sottofondo, ha posizioni a dir poco controverse sulla guerra in Ucraina e ha persino associato il suo personaggio a Andrew Tate, l’ex kickboxer diventato virale sui social con contenuti misogini e ora processato per stupro, tratta di esseri umani e associazione a delinquere. Il risultato finale di queste elezioni lo ha portato finalmente in parlamento, assegnandogli complessivamente quattro seggi. «La scorsa notte segna la fine del Partito conservatore così come lo conosciamo», ha scritto Farage su X il 5 luglio, aprendo quindi anche la sua partita per il futuro della destra britannica.
C’è chi sostiene che possa essere pronto a una scalata verso la guida dei Tories, lanciando una sorta di Opa, come si fa sui mercati finanziari, per prenderne il controllo: sicuramente c’è una fetta del partito che guarda con simpatia al suo personaggio, ma per ora è difficile capire quanto possa essere semplice questa operazione, anche solo come alleanza. «Darei il benvenuto a Nigel nel Partito conservatore, ha dichiarato la pseudo sovranista Braverman. «Non c’è molta differenza tra lui e molte delle politiche che sosteniamo».
In un’intervista al Times, Kemi Badenoch ha invece criticato duramente Reform, definendolo un partito con persone «inadatte a prendere decisioni sulla vita dei cittadini». Con Badenoch alla guida, qualsiasi tipo di alleanza post-elettorale tra Farage e i conservatori sembra destinata a non concretizzarsi. Farage è «come il lupo nella storia dei “Tre Porcellini”», ha spiegato la ministra. «Vuole soffiare via casa tua, sta venendo per distruggerti. Non viene per una tazza di tè». D’altronde, il sogno di Farage è esattamente questo, prendersi i Tories come Trump si è preso i repubblicani, ma la lotta è ufficialmente cominciata.