L’Europa non starà a guardare mentre Donald Trump si vanta di poter arrivare facilmente a un negoziato di pace tra Russia e Ucraina. Se deve esserci un cessate il fuoco, allora l’Europa deve avere un ruolo. È per questo che oggi il presidente francese Emmanuel Macron vola in Polonia per incontrare Donald Tusk. A Varsavia si parlerà soprattutto dell’invio di una forza di peacekeeping in Ucraina in caso di negoziato.
Il piano di Macron era stato anticipato martedì dal quotidiano polacco Rzeczpospolita, poi confermato da diverse fonti. Si parla di un contingente europeo di circa quarantamila soldati lungo tutta la linea del fronte. Un modo per garantire protezione all’Ucraina indipendentemente dall’ingresso nella Nato, che al momento sembra una soluzione piuttosto distante nel tempo – sicuramente troppo distante se davvero, come dice, Trump troverà un accordo entro ventiquattro ore dal suo insediamento (anche se in pochi ci credono). L’idea alla base sarebbe quindi su una soluzione del conflitto sul modello coreano, cioè con un contingente straniero di peacekeeping sempre presente sul campo. L’Istituto francese per le relazioni internazionali sta già lavorando a delle ipotesi per questa missione: l’analista Elie Tenenbaum, parla di cinque brigate, quarantamila militari appunto, che potrebbero essere guidate dalla Polonia.
Non è un caso che Macron stia andando proprio a Varsavia, dal leader europeo più forte al momento, quel Donald Tusk che ha trasformato la Polonia da bastione del populismo sovranista a modello per l’Europa democratica e liberale. Varsavia accetterebbe di diventare alfiere e guida del contingente europeo. Un ruolo che avrebbe ancor più senso alla luce della continuità geografica con l’Ucraina e del credito accumulato sotto il profilo militare – Varsavia ha una spesa per la difesa intorno al 4,2 per cento del Pil e ha già deciso di portarlo al 4,7 nel 2025.
Inoltre, dal primo gennaio la Polonia avrà una posizione privilegiata, ereditando il turno di presidenza del Consiglio dell’Unione europea dall’Ungheria di Viktor Orbán. Avrà l’opportunità di invertire la rotta dopo sei mesi di polemiche senza capo né coda. Stare alla presidenza vuol dire ospitare riunioni dei ministri e di altri funzionari, ma anche imporre un’agenda politica sui temi da affrontare. E nell’agenda della Polonia la sicurezza, a partire da quella dei confini europei, è al primo posto.
«La soluzione del cessate il fuoco si basa sull’assunto che quei territori occupati possano un giorno tornare all’Ucraina: nessuno vuole pensare che gli ucraini e il loro governo accettino una perdita simile», ha detto a Linkiesta il viceministro degli Esteri polacco Marek Prawda, sottolineando però che non ci sono ancora piani concreti per mobilitare truppe. «Al momento siamo nel campo delle speculazioni, ma è un’idea, un’ipotesi che si sta facendo perché è una soluzione che difficilmente si potrà evitare in futuro. E devono esserci dei Paesi pronti a guidare il dibattito europeo».
Martedì Tusk aveva detto alla stampa che i negoziati di pace tra Kyjiv e Mosca potrebbero iniziare già quest’inverno, lasciando intendere che la Polonia non spingerà né per inviando truppe sul terreno, che sarebbe un’escalation del conflitto, né per un negoziato al ribasso con la cessione alla Russia dei territori occupati – soluzione al momento irricevibile per l’Ucraina. La Polonia, come riferito da alcune fonti istituzionali a Linkiesta, seguirà l’Ucraina nelle sue decisioni e sarà disposta a portare sul tavolo solo istanze condivise in primo luogo da Kyjiv.
Già a novembre, Tusk preparava sottotraccia un’alleanza di Paesi europei per invitare Donald Trump a non cedere alle ambizioni imperialiste di Vladimir Putin al momento delle trattative: «Coordineremo attivamente la cooperazione con i Paesi che condividono il nostro punto di vista sulla situazione geopolitica e transatlantica, nonché sulla situazione in Ucraina. Nessuno vuole un’escalation del conflitto, ma nessuno permetterà all’Ucraina di indebolirsi o di capitolare. Questo rappresenterebbe una grave minaccia per la Polonia e per i nostri interessi», aveva spiegato il premier polacco.
È la nuova coalizione di volenterosi (coalition of the willing), sulla falsariga di quella lanciata dagli Stati Uniti di George W. Bush, che nella primavera del 2003 ha invaso l’Iraq svincolandosi dai limiti e dagli ostacoli dell’Onu. L’obiettivo di questo sindacato politico è stato chiarissimo fin da subito: non si può svendere l’Ucraina all’übercriminale che siede al Cremlino. Meno chiaro è chi sarebbe già a bordo del progetto. È possibile immaginare il coinvolgimento degli Stati scandinavi (Danimarca in testa), della Finlandia, dei Paesi Baltici e forse anche del Regno Unito. Ma in ogni caso per portare un grosso contingente europeo al fronte ucraino servirà convincere la reticente Europa occidentale e mediterranea: «La Polonia e la Francia sono pronte a posizionarsi in funzione di peacekeeping, molto probabilmente anche il Regno Unito, poi bisogna vedere cosa decideranno Italia e Spagna», dice ancora il viceministro degli Esteri polacco.
C’è un grosso punto interrogativo sulla Germania. Al momento, con la leadership debole e accondiscendente con Putin impostata da Olaf Scholz, è difficile ipotizzare un impegno serio di Berlino. Ma a febbraio ci saranno le elezioni e se il prossimo cancelliere dovesse essere Friedrich Merz della Cdu lo scenario potrebbe cambiare. «Con Merz, la Germania cambierebbe nel suo approccio all’Ucraina», dice il viceministro Prawda. «Scholz sta restringendo il nostro campo d’azione, dicendo solo cosa non l’Europa e l’Occidente non faranno mai, facendo il gioco di Putin. Se invece l’Europa mostra alla Russia cosa può fare con unità d’intenti diventa molto più imprevedibile».
La ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock la settimana scorsa aveva detto di non escludere per il futuro futuro l’invio di truppe tedesche sul terreno in funzione di peacekeeping. Ma in ogni caso per la Germania è tutto rimandato a dopo le elezioni.
Solo che l’Europa non ha tempo da perdere. Specialmente con i dubbi e le incertezze che arrivano dalla Casa Bianca, e quelle che arrivano dal Cremlino (ieri Viktor Orbán ha telefonato a Vladimir Putin per parlare di cooperazione energetica ed economica, di Medio Oriente, ma anche e soprattutto di guerra in Ucraina e di cessate il fuoco, chissà a quali condizioni).
Invece, nella nota dell’Eliseo che annuncia il viaggio di Macron in Polonia si parla espressamente di una discussione sull’Ucraina, con Tusk, «in un nuovo contesto transatlantico». È la consapevolezza di dover trovare un nuovo protagonismo europeo sulle questioni di difesa e sicurezza. E solo la Polonia sembra avere i numeri e la credibilità per guidare questa nuova fase.