Ascesa e declino del padre dei navigatorMimmo Parisi, il prof venuto dal Mississippi smentito dal suo stesso direttore generale

In pochi giorni, tre lettere partite da due dirigenti di Anpal e dalla Commissione Lavoro della Conferenza della Regioni attaccano il presidente sulla mancata rendicontazione delle spese da oltre 160mila euro e sulla tanto annunciata app che avrebbe dovuto salvare il mercato del lavoro

(Linkiesta)

Da guru dei navigator a guru della non trasparenza. Sembrerebbe essere questa l’amara conclusione della saga del presidente dell’Anpal (l’Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro) Mimmo Parisi, il prof del Mississippi voluto in Italia da Luigi Di Maio per rivoluzionare il mercato del lavoro e trovare un impiego ai percettori del reddito di cittadinanza.

A fronte degli scarsi risultati raggiunti certificati pure dalla Corte dei Conti, in pochi giorni ora ben tre lettere scritte da due dirigenti di Anpal e dalla Commissione Lavoro della Conferenza della Regioni attaccano Parisi su due fronti: la mancata rendicontazione delle spese da oltre 160mila euro del 2019, tra i voli in business class da e per il Mississippi, l’appartamento in affitto ai Parioli e l’autista personale; e la realizzazione della fantomatica app di incrocio tra domanda e offerta di lavoro che il prof, dicono Anpal e Regioni, non potrà certo realizzare come annunciato.

Stavolta, a confermare la scarsa trasparenza sulle note spese mai rendicontate dall’uomo di Di Maio è lo stesso direttore generale dell’Anpal, Paola Nicastro. A metà aprile – in collegamento da Starkville – Parisi annunciava alla Camera che avrebbe pubblicato di lì a poco le note spese sul sito dell’agenzia. E il 4 giugno, in un’intervista a Repubblica, dichiarava di aver dato «tutte le carte al direttore generale di Anpal e al ministero». Peccato, però, che questo non sarebbe vero.

Non solo sul sito di Anpal servizi, la società controllata dell’Agenzia di cui Parisi è anche amministratore unico, non c’è traccia delle note spese. Ma in una lettera indirizzata al professore, lo scorso 9 giugno il direttore generale di Anpal Nicastro gli fa notare di non aver ricevuto un bel niente sui suoi rimborsi, invitandolo «per il futuro, a volersi astenere dal diffondere notizie infondate e contrarie agli atti ufficiali dell’amministrazione».

Dopo l’avvio delle verifiche del ministero del Lavoro sui rimborsi spese di Parisi, spiega Nicastro nella sua missiva (con in copia ministero del Lavoro e Mef), «ho formalmente chiesto ad Anpal Servizi ogni utile elemento di informazione istruttoria, ivi compreso un resoconto analitico di tutte le operazioni di rimborso spese disposte in favore dell’amministratore unico».

Ma la casella di posta del direttore generale è rimasta vuota: «Dinanzi a tale richiesta la società controllata non ha fornito alcun elemento ulteriore, limitandosi a comunicare l’intenzione del prof Parisi di “ricondurre la questione in seno agli organi di Anpal e Anpal Servizi”». E la stessa risposta è arrivata al dg da parte del Presidente del Collegio dei sindaci di Anpal Servizi. «Emerge con chiarezza», scrive Nicastro a Parisi, «che diversamente da quanto riportato nella sua intervista a “la Repubblica”, non è mai stata fornita la richiesta documentazione attinente i rimborsi sostenuti da Anpal Servizi per l’amministratore unico». Peraltro, aggiunge, «non risulta alla scrivente che tale documentazione sia stata fornita agli organi di amministrazione di Anpal». Così come, diversamente da quanto Parisi dice a Repubblica, il collegio dei revisori di Anpal non avrebbe mai approvato le sue «spese d’affitto da 2.700 euro al mese».

La deputata del Pd Debora Serracchiani, in Commissione Lavoro della Camera, il 10 giugno è tornata ancora una volta a chiedere conto delle spese sostenute da Parisi. A rispondere il sottosegretario al Lavoro Stanislao Di Piazza, Cinque Stelle, che ha ripetuto che Parisi ha trasmesso la documentazione alla direzione generale di Anpal, che avrebbe dovuto poi aggiornare il sito. Ma, come viene fuori dalla lettera della dg Paola Nicastro, la rendicontazione degli oltre 160mila euro spesi nel 2019 non sarebbe mai stata mai inviata. Qualcosa, insomma, non torna eccome.

Il clima nell’agenzia ormai è tesissimo. Così come sono burrascosi i rapporti tra Parisi e il ministero del Lavoro di Nunzia Catalfo – l’autorità vigilante su Anpal – da cui lo scorso 14 aprile partì una lettera durissima in cui si chiedeva conto del nuovo regolamento sui rimborsi spese, che Parisi ha scritto e firmato a dicembre 2019 come amministratore unico di Anpal Servizi, autorizzando se stesso ai viaggi intercontinentali in business class e facendo così lievitare i soli costi dei voli in un anno a oltre 70mila euro.

Come raccontò Linkiesta, a febbraio Anpal Servizi comunicò ad Anpal i costi sostenuti da Mimmo Parisi nel 2019 per la suddivisione delle spese tra l’agenzia e la controllata. Nell’elenco, compaiono 71mila euro per i suoi viaggi andata e ritorno da Roma al Mississippi, 55mila euro per il noleggio dell’auto con autista, 32mila euro circa per il suo alloggio romano. E poi 5mila euro per i viaggi in Italia e 3mila euro per vitto e altro.

Davanti alla Commissione Lavoro della Camera, Parisi ad aprile spiegò di dover viaggiare in business class per evitare «problemi di schiena». E che le spese per i voli «non sono 70mila euro ma solo 40mila». Ma poiché nessuna rendicontazione dettagliata è stata ancora resa pubblica, sulle spese del presidente di Anpal regna tutt’oggi la totale assenza di trasparenza. Oltre 166mila finora coperti dal segreto.

Così come non c’è ancora traccia del piano industriale di Anpal Servizi 2020-2022, che dovrebbe approvare – tra le altre cose – anche la suddivisione delle spese del professore. Proprio nel bel mezzo di una crisi occupazionale senza precedenti, il piano è stato bocciato per ben tre volte dal cda, perché ritenuto inadeguato alla fase post-Covid e non rispettoso dei piani di stabilizzazione dei precari dell’agenzia, costretti lo scorso 3 giugno a manifestare per l’ennesima volta con la mannaia imminente di altri 260 contratti che scadranno a luglio.

A fine maggio, le Regioni – che sulle politiche attive sono competenti e hanno un proprio rappresentante in cda – si erano prese dieci giorni di tempo per integrare il piano industriale. E nella nota inviata a Parisi l’8 giugno avanzano due appunti che non lasciano spazio alle mire del prof italoamericano di sviluppare la famosa applicazione per l’incrocio dei dati di domanda e offerta di lavoro.

Uno, dicono le Regioni, «non esiste lo spazio giuridico per la creazione, a nessun altro livello, di “centri”, anche virtuali, per l’erogazione di misure di politica attiva del lavoro che non siano coerenti e integrati con i sistemi regionali».

Due: «Il Sistema Informativo Unitario delle Politiche del Lavoro è un sistema federato, in cui un ruolo decisivo è svolto dai sistemi regionali, in cooperazione applicativa con il nodo di coordinamento nazionale. Nuove “App” o funzionalità che non rispondano a questo quadro di riferimento non possono essere vincolanti e ogni Regione e Pa ne valuterà la possibilità ed opportunità di utilizzo in coerenza con gli strumenti già operativi».

È, insomma, la bocciatura definitiva della famosa app, su cui Parisi punta anche nel piano industriale, che avrebbe dovuto portare in Italia replicando il “miracolo” – a suo dire – del software Mississippi Works creato negli Stati Uniti. Di Maio nel decretone sul reddito di cittadinanza gli aveva addirittura riservato 25 milioni di euro per la nuova piattaforma, facendo sollevare più di un sospetto di conflitto di interessi nel caso in cui il professore avesse venduto all’Italia il suo stesso software.

Parisi ha sempre smentito l’intenzione di voler vendere la app all’Italia. E dopo un lungo confronto con Invitalia (società in house incaricata realizzare la app, come avevamo raccontato) finito in un buco nell’acqua, il professore ha comunicato che ora «ci sta pensando il ministero dell’Innovazione» di Paola Pisano, Movimento Cinque Stelle, molto vicina a Davide Casaleggio.

Nell’intervista a Repubblica del 4 giugno Parisi dice che «è tutto pronto» con una bozza di accordo che però ha firmato solo lui. Allora perché non parte?, gli chiede la giornalista. «Mi bloccano», risponde. E i 25 milioni? «Non me li fanno toccare». Chi? «La struttura (dell’Anpal, ndr)», dice. Non è vero neanche questo, scrive Paola Nicastro, nella lettera a Parisi: con una delibera del 30 novembre 2019 è stato disposto che le risorse «possono essere utilizzate solo su espressa decisione del cda».

Cda che, almeno nella rappresentanza delle Regioni, ha già smontato i suoi progetti informatici. Bisognerà vedere ora cosa ne penserà il componente del consiglio in rappresentanza del ministero del Lavoro. Ma l’aria che tira da via Veneto è tutt’altro che favorevole. Sulla nuova convocazione del cda, intanto, non c’è ancora una data. E i precari sono tutt’altro che tranquilli, visto che la stabilizzazione prevista nel nuovo piano aggiornato lascia comunque fuori cento di loro.

E se quei 25 milioni stanziati all’epoca del governo gialloverde sono bloccati, sui flussi di denaro di Anpal gestiti da Parisi per realizzare la piattaforma ha voluto fare chiarezza anche il responsabile dell’Autorità di gestione dei fondi Fse dell’agenzia Orazio Ferlito. Che il 4 giugno in una lettera ha invitato Parisi a scongiurare il rischio di un uso «non efficiente delle risorse pubbliche assegnate».

Nei piani esecutivi di Anpal Servizi sottoposti all’agenzia Anpal compare l’obiettivo 13.1 titolato “Migliorare l’efficacia e l’efficienza dei servizi a supporto delle politiche attive per il lavoro attraverso la progettazione e la realizzazione di applicazioni software”. Niente da fare, dice il dirigente: l’azione di Anpal Servizi «non potrà consistere nello sviluppo o messa a punto in autonomia di piattaforme e in genere di soluzioni software a cui Anpal, come a tutti noto, già sta da tempo provvedendo direttamente attraverso la propria struttura, tramite peraltro investimenti pluriennali non irrilevanti».

Specificando in aggiunta che «non potranno ammettersi deroghe» e sottolineando che l’assenza di un bando pubblico e l’affidamento a società in house (come già provato a fare con Invitalia) si giustificherebbe solo in caso di necessità e non per delegare «a terzi le componenti sostanziali delle attività da realizzarsi». Insomma, niente app per il momento.

Di quel Mimmo Parisi che la scorsa estate, con le note dei Queen in sottofondo, davanti alla platea dei navigator definiva l’incontro tra lui e Di Maio «un atto di dio», un anno dopo è rimasto ben poco. Ormai in tanti nella maggioranza ne chiedono le dimissioni. Tranne i Cinque Stelle, ma solo per opportunità politica.

Con Luigi Di Maio fuori dal ministero del Lavoro, il professore – difeso ormai alla luce del sole solo da Matteo Salvini, che in nome del Conte 1 è corso in suo aiuto – vanta però qualche santo in Paradiso a Palazzo Chigi. Su Parisi, dicono in tanti, c’è la protezione di Rocco Casalino, che molti indicano come primo anello di congiunzione tra il prof e i Cinque Stelle.

Tanto che dal Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio è partito un parere favorevole alla sua compatibilità con le cariche che ricopre in Mississippi – cosa non prevista dallo Statuto di Anpal – senza nessuna richiesta esplicita del ministero del Lavoro. La richiesta al Dagl, stranamente, sarebbe arrivata invece dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro.

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