Prima di lui soltanto John Fitzgerald Kennedy. Ma se, dopo 60 anni, gli Stati Uniti si ritrovano di nuovo ad avere un presidente che professa apertamente la fede cattolica – e che partecipa alla messa prima dell’insediamento, cita nel discorso a Capitol Hill il Salmo 30 e il De Civitate Dei di Agostino e mette in bella mostra una foto del Papa dietro alla sua scrivania nello Studio Ovale – l’episcopato a stelle e a strisce continua a essere spaccato su Joe Biden e a mal celare nostalgia per l’era Trump.
E così, mentre Francesco inviava un messaggio di congratulazioni al 46° presidente degli Stati Uniti nel giorno dell’insediamento alla Casa Bianca – sottolineando il «rispetto costante dei diritti e della dignità di ogni persona, specialmente dei poveri, dei vulnerabili e di quanti non hanno voce» e auspicando un mandato che favorisca «la comprensione, la riconciliazione e la pace negli Stati Uniti e tra le nazioni del mondo, al fine di promuovere il bene comune universale» – il presidente della Conferenza episcopale statunitense (USCCB), José Horacio Gómez, attaccava in contemporanea la nuova Amministrazione.
Numerario dell’Opus Dei e arcivescovo di Los Angeles, il capo della USCCB, che non ha mai nascosto la sua ammirazione per Donald Trump e che, nella recente condanna dell’assalto a Capitol Hill, ha omesso ogni riferimento alle responsabilità del tycoon, non ha avuto remore di segnalare in una lunga dichiarazione che «il nostro nuovo presidente si è impegnato a seguire determinate politiche che faranno avanzare i mali morali e minacceranno più seriamente la vita e la dignità umana in materia di aborto, contraccezione, matrimonio e genere. Sono motivo di grave preoccupazione la libertà della Chiesa e la libertà dei credenti di vivere secondo coscienza».
Martellanti i richiami all’aborto, «attacco diretto alla vita che ferisce anche la donna e mina la famiglia» e che, esulando dalla sfera privata in quanto «questione di giustizia sociale», è indicato come «priorità preminente» per l’episcopato statunitense. «Spero – così ancora Gómez – che, anziché imporre maggiori espansioni all’aborto e alla contraccezione come ha promesso, il nuovo presidente e la sua Amministrazione lavorino con la Chiesa e altre persone di buona volontà. La mia speranza è che possiamo iniziare un dialogo per affrontare i complicati fattori culturali ed economici che portano all’aborto e scoraggiano le famiglie. La mia speranza, inoltre, è che possiamo lavorare insieme per attuare finalmente in questo Paese una politica familiare coerente, che riconosca l’importanza cruciale del matrimonio e di una genitorialità forte per il benessere dei bambini e la stabilità delle comunità».
Non sono mancati apprezzamenti all’aperta testimonianza di fede e alla pietà di Biden, di cui si è condiviso l’appello per affrontare la pandemia e le conseguenze dell’isolamento sociale. Ma è pur vero, come Linkiesta ha appreso da fonti della Segreteria di Stato, che la dichiarazione di Gómez è stata ampliata dopo un deciso intervento del cardinale Pietro Parolin ed è stato oggetto di acceso dibattito la sera prima dell’insediamento. A essere completamente contrari al testo in sé, giudicato eccessivamente critico verso la nuova Amministrazione, non pochi vescovi. Ma soprattutto i cardinali Joseph William Tobin, arcivescovo di Newark, e Blase Joseph Cupich, arcivescovo di Chicago, il quale ha pubblicamente contestato la mancanza di consultazione collegiale su materia così delicata con «sorpresa di molti vescovi, che hanno ricevuto la dichiarazione poche ore prima che fosse diffusa».
C’è stato fra l’altro un ulteriore braccio di ferro tra Oltetevere e il presidente della Conferenza episcopale, che aveva inizialmente fissato alle 9:00 del 20 gennaio – tre ore prima dell’inizio della cerimonia d’insediamento – la pubblicazione del testo. Ma ha poi dovuto ordinarne l’embargo fino a mezzogiorno sì da creare un’autentica tarantella sui siti di alcune diocesi, che con zelo di miglior causa avevano già diffuso lo statement per poi rimuoverlo in tutta fretta. Un esempio emblematico, al riguardo, quello di Tucson, il cui vescovo Edward Joseph Weisenburger è una creatura di Benedetto XVI e componente dei Cavalieri di Colombo.
A far esplodere pubblicamente la polemica è stato, come detto, il cardinale Cupich, che senza di giri di parole ha definito l’atto della presidenza della Conferenza episcopale una «dichiarazione sconsiderata» e un unicum senza precedenti. Ma l’attacco frontale dell’arcivescovo di Chicago e l’appello all’unità con tanto di entusiastico messaggio gratulatorio a Joe Biden e a Kamala Harris hanno incendiato maggiormente gli animi in seno all’USCCB e provocato una levata di scudi da parte della falange filotrumpiana, asserragliata in aperta difesa di Gómez. A esprimere apprezzamento per il comunicato, guarda caso, proprio quei vescovi, che, accogliendo con favore nel 2018 il controverso dossier Viganò, sono maggiormente insofferenti verso Bergoglio.
Si tratta, insomma, dei soliti noti a partire da David A. Konderla, Thomas Olmsted, Joseph Strickland e, soprattutto, Salvatore Joseph Cordileone, l’arcivescovo di San Francisco famoso per le crociate ossessive contro i diritti delle persone Lgbti+ e l’aperto sostegno al milieu del World Congress of Families, alla cui edizione veronese ha partecipato come relatore due anni fa. E così, per non essere da meno di Gómez, il favoloso presule tutto pizzi, merletti e messa tridentina ha pensato bene due giorni fa di attaccare duramente Nancy Pelosi, definendone la posizione in materia di aborto in netta contraddizione con l’insegnamento nella Chiesa.
In ogni caso, già il 21 gennaio la Conferenza episcopale, attraverso i presidenti delle varie Commissioni, ha cercato di correggere il tiro con ben quattro comunicati di plauso. Il primo, a firma del cardinale arcivescovo di New York, Timothy Dolan, presidente della Commissione per la libertà religiosa, e del vescovo ausiliare di Washington, Mario E. Dorsonville, ha apertamente elogiato il proclama di Biden, con cui, ribaltando la politica dell’Amministrazione Trump, sarà consentito l’accesso nel Paese a immigrati che fuggono dalla persecuzione in diversi Paesi africani e a maggioranza musulmana col desiderio di «cercare rifugio e riunirsi con la famiglia negli Stati Uniti».
Sempre Dorsonville ne ha firmato un secondo sull’ordine esecutivo, che dispone una moratoria di 100 giorni circa le deportazioni sì da consentire una revisione completa delle leggi sull’immigrazione soprattutto in materia di respingimenti al confine col Messico. E ancora un terzo – questa volta cofirmato con lo stesso Gómez –, con cui si esprimono apprezzamento e sostegno al Memorandum presidenziale in difesa dei Dreamer: Biden ha infatti disposto il ripristino del programma Deferred Action for Childhood Arrivals a favore di circa 800.000 giovani, che, arrivati bambini negli Stati Uniti a seguito di genitori senza documenti legali, rischiavano sotto l’Amministrazione Trump la deportazione, nonostante avessero già un lavoro regolare, servissero nell’esercito e contribuissero all’economia statunitense con un gettito di circa 42 miliardi di dollari.
Vivo apprezzamento anche per l’ordine esecutivo con cui il presidente cattolico ha disposto il rientro degli Stati Uniti nell’accordo di Parigi sul clima: a farsene portavoce, in questo caso, sono stati l’arcivescovo di Oklahoma City, Paul Stagg Coakley, presidente della Commissione per la Giustizia interna e lo Sviluppo umano, il vescovo di Rockford, David J. Malloy, presidente della Commissione per la Giustizia e la Pace internazionali, e Sean L. Callahan, presidente del Catholic Relief Service.
Il 22, infine, altri tre comunicati. Uno, ancora una volta sul tema immigrazione, ha visto Coakley e Dorsonville esprimere la soddisfazione dell’episcopato per l’ordine esecutivo con cui Biden ha disposto che tutti i residenti negli Stati Uniti siano inclusi nel censimento decennale nazionale, compresi gli immigrati privi di documenti. «Cittadini e non cittadini – hanno affermato i due presuli – devono continuare a essere riconosciuti come membri della stessa famiglia umana».
Gli altri due, come era d’altra parte prevedibile, hanno invece preso di mira sia l’ordine esecutivo su prevenzione e lotta alla discriminazione sulla base dell’identità di genere o dell’orientamento sessuale sia la dichiarazione congiunta di Biden e Harris che, in occasione del 48° anniversario della decisione della Corte Suprema Roe v. Wade (22 gennaio 1973), hanno definito la storica sentenza in materia di aborto un progresso per i diritti e la salute delle donne. Particolarmente duro nei toni soprattutto quest’ultimo comunicato, che reca la firma dell’arcivescovo di Kansas City, Joseph Fred Naumann, presidente della Commissione per le attività Pro-Life. Un altro aedo, cioè, di Trump, di cui, il 20 agosto scorso, aveva magnificato l’operato sul blocco dei finanziamenti federali alle ong, che forniscono consulenze in favore dell’aborto o ne promuovono la depenalizzazione, e ai progetti di ricerca che prevedono l’uso di tessuti fetali.
Naumann, che si ispira soprattutto al magistero di Giovanni Paolo II (fu Karol Wojtyła, d’altra parte, che lo elevò all’episcopato nel 1997 e lo destinò nel 2004 alla sede metropolitana di Kansas City), è noto per la sua posizione draconiana sulla negazione della Comunione a politici cattolici che sostengono aborto ed eutanasia. Questione, questa, che richiama il recente e violento dibattito sull’accesso o meno di Biden all’Eucaristia, al cui riguardo la posizione conciliante del cardinale Wilton Gregory, arcivescovo di Washington, e le parossistiche reazioni contrarie di altri vescovi mostrano quanto il cammino di conciliazione e unità sia lungi da venire nel mondo cattolico statunitense. Soprattutto, in chi dovrebbe esserne araldo e testimone come il corpo episcopale, vergognosamente spaccato già in tema di piena fedeltà al successore di Pietro. Il che è quanto dire.