«Non ho mai sentito parlare di un “Collegio elettorale”. Joe Biden è il 46esimo presidente degli Usa. Andrzej Duda è un idiota [debil, in polacco, NdR]». Per questa frase pubblicata il 7 novembre scorso, sulla propria pagina Facebook, lo scrittore e giornalista polacco Jakub Żulczyk rischia tre anni di carcere. La procuratrice distrettuale di Varsavia Aleksandra Skrzyniarz gli ha notificato da poco l’accusa di aver commesso un atto di offesa pubblico.
Con il suo post Żulczyk aveva commentato il tweet con cui il presidente della Repubblica Andrzej Duda si era congratulato con Joe Biden per il risultato alle presidenziali Usa. Nel tweet Duda aveva menzionato l’esistenza di un fantomatico “Collegio elettorale”, che avrebbe dovuto ufficializzare la vittoria di Biden. Sebbene l’ufficio stampa di Duda abbia precisato che non è stato il presidente a sporgere denuncia, e che l’incriminazione è partita come una sorta di atto d’ufficio, la vicenda ha subito generato allarme nell’opinione pubblica polacca.
Chiunque frequenti i social network dovrebbe essere abituato a incappare in ingiurie ben più pesanti di “idiota” rivolte a personaggi pubblici e figure politiche. Che queste si trasformino automaticamente in processi penali, perdipiù senza che sia la parte lesa a richiederlo, non è una prassi comune nella Unione europea.
Anche in Italia, per esempio, lo scorso agosto i carabinieri hanno perquisito la casa di una persona ritenuta responsabile dei reati di “offesa all’onore e al prestigio del Presidente della Repubblica”. Il provvedimento è però scattato perché gli inquirenti sospettano l’esistenza di una rete capillare cui parteciperebbero più utenti di Twitter, che sarebbe responsabile di una campagna denigratoria orchestrata e coordinata ai danni del presidente Sergio Mattarella.
Nella Polonia plasmata dal partito sovranista di governo Prawo i Sprawiedliwość (Diritto e Giustizia), la libertà d’espressione non è vista come un valore assoluto, bensì come un diritto individuale che non può ledere il buon nome e il prestigio di chi esercita il potere.
Come riportato da Emerging Europe, dal suo insediamento nel 2015 la coalizione ultraconservatrice capeggiata dal PiS ha inasprito le pene per i reati di offesa a rappresentanti delle istituzioni e di vilipendio alla religione. Così, in Polonia vigono oggi nove diverse leggi che puniscono vari tipi di offese, tra cui una relativa ai simboli dello Stato. Tutte prevedono la possibilità di pene detentive.
Secondo l’articolo 135, comma 2, del Codice penale polacco «Chiunque insulti il presidente della Polonia in pubblico può essere privato della libertà personale per un periodo di massimo tre anni». Questa la pena che adesso rischia Żulczyk.
«Credo di essere il primo scrittore dopo tanto tempo a essere incriminato in questo paese per quanto scrive», ha commentato Żulczyk, disegnando un implicito parallelismo con la censura del dissenso praticata dalle autorità comuniste polacche durante la Guerra fredda – un parallelismo che sta tornando in voga anche in Ungheria, a fronte dei provvedimenti contro la libertà di stampa presi dal governo di Viktor Orbán.
Il caso Żulczyk rileva nel contesto dell’offensiva contro il dissenso che l’esecutivo polacco sta conducendo da sei anni a questa parte. Offensiva entrata di recente in una fase di notevole attivismo, come confermato dall’acquisizione della proprietà di un conglomerato di testate da parte di Pkn Orlen, la compagnia energetica statale vicina al governo.
È possibile che l’indagine a carico di Żulczyk si concluda in un nulla di fatto. Anche un governo notoriamente ribelle come quello polacco non può probabilmente spingersi fino a incarcerare uno scrittore per un reato d’opinione. Tuttavia, anche in tal caso, il provvedimento sarebbe comunque da monito intimidatorio per gli avversari dell’esecutivo: meglio ponderare con cura se e quanto esprimersi pubblicamente.
La linea è tracciata. Il PiS non intende tollerare voci critiche, né dei suoi esponenti, né del suo operato. Per gli ultranazionalisti, criticare loro equivale a criticare la Polonia tout court. Non esistono spazi intermedi, la società si compone di seguaci e di nemici: i primi vanno premiati, i secondi repressi.