Le premiazioni non piacciono più. A guardare l’ultima edizione dei Grammy c’era il 53% degli spettatori rispetto all’anno scorso: da 18,7 milioni a 8,8. Per i Golden Globe è andata anche peggio: meno 63% rispetto al 2020, si è passati cioè da 18 milioni a 6,9. Un disastro, ancora più sorprendente se si pensa che la qualità degli show è stata alta. Adesso tutti sono in attesa della premiazione delle premiazioni: quella degli Oscar, in programma il 25 aprile sulla ABC. E sono molto spaventati.
Dopo la chiusura delle sale e la prevalenza continua dei giganti dello streaming, un abbandono da parte del pubblico sarebbe la fine. O, come dice questo articolo del New York Times, sancirebbe la sua crisi d’identità definitiva.
Anche perché spiegare tutto con la pandemia non basta. Il calo va avanti da anni, con una discesa del 44% dal 2014 al 2020, minacciando la tenuta di tutta l’economia che ruota intorno agli Award. Netflix ha investito 30 milioni per la campagna promozionale dei suoi film in pubblicità ed eventi pensati per i giurati. La Disney si è accaparrata i diritti della cerimonia fino al 2028, mettendo sul piatto 900 milioni di dollari.
Di fronte alla prospettiva di un fiasco, per l’organizzazione dell’evento l’Academy si è rivolta a Steven Soderbergh, regista – tra le altre cose – di “Contagion”. Gli ha chiesto di pensare a uno show che sia a un tempo tradizionale e innovativo, rassicurante per il pubblico e rispettoso delle norme anti-Covid. Soprattutto, deve essere galvanizzante, in grado cioè di far tornare le persone al cinema.
Per lui la condizione fondamentale, inserita nel contratto, è il divieto di utilizzare Zoom. Serve solo a ricordare agli spettatori i mesi di pandemia, spiega. E i collegamenti a distanza saranno organizzati attraverso una rete capillare di studi: ogni nominato avrà una telecamera per sé. Ma basterà?
Non è detto. I dati sono sconfortanti. Secondo un sondaggio Guts + Data, pochi sembrano conoscere i film in gara: solo il 18% ha sentito parlare di “Mank”, che pure è in corsa con 10 nomination. Il titolo più noto è “Judas and the Black Messiah” (il 46% del campione), mentre “Nomadland” di Chloé Zhao è il superfavorito ma si ferma al 35%.
Oltre a questo, in tanti hanno fatto notare che la rete che li trasmette, la ABC, è sempre meno rilevante. Lo spettacolo in sé, poi, è troppo lungo: tre ore. Per un pubblico abituato a ritmi più veloci, si tratta di una durata interminabile (è molto più pratico vedere gli highlight sui social). E sempre a causa delle piattaforme, il consesso di persone famose non costituisce più un evento, soprattutto in un’epoca in cui i fan possono credere di essere in contatto, ogni giorno, con le loro star preferite.
È uno spettacolo prevedibile, sempre più ripulito e con poche sorprese. Il lato politico poi è sempre meno apprezzato. Le rilevazioni mostrano che una buona parte dei telespettatori cambia canale quando le star cominciano a fare discorsi impegnati (è da supporre che si tratti di quel pubblico che non la pensa come loro).
Insomma, il compito affidato a Soderbergh è complicato. Tenere viva l’atmosfera di una cerimonia oramai in declino, che parla di cinema (esperienza lontana di mesi) e che sembra sempre meno attraente per ritmi e tempi. Lui stesso sa che, più di tanto, non si può fare. Nemmeno mettendo in piedi uno spettacolo fantastico, spiega al New York Times, è assicurata la presenza del pubblico. I dati inquietano, le mani vengono messe avanti: per un evento con pochi brividi, forse solo il flop potrebbe darne qualcuno.