I nuovi contagi sono arrivati ieri a 40.902, i morti a 550, il che significa che solo questa settimana, da lunedì a venerdì, in Italia sono morte di Covid 2.745 persone. Eppure Giuseppe Conte e i numerosi esponenti del comitato tecnico-scientifico continuano a ripetere, come fanno da giorni, che le cose migliorano e la curva si appiattisce, segnale, ha spiegato ieri il presidente del Consiglio, che le misure «stanno iniziando a funzionare».
L’alto numero dei nuovi contagi registrati, ci viene ripetuto, sarebbe il frutto di quanto accaduto due settimane fa, e a maggior ragione il numero dei decessi, conseguenza di contagi avvenuti anche un mese prima. Considerazione da cui nessuno, chissà perché, si sente portato a concludere che in tal caso, quanto meno, erano sbagliate le misure di un mese fa, quando pure non mancavano le voci critiche e le grida di allarme, soltanto a volerle ascoltare, da parte di scienziati (sistematicamente ignorati, forse perché estranei ai comitati governativi), esponenti dello stesso governo (ovviamente a microfoni spenti) e anche semplici osservatori (eccoci).
«Chi dice che siamo inerti rispetto alla recrudescenza della pandemia, chi sostiene che la seconda ondata ci ha colto di sorpresa, chi dai divani o dalle trasmissioni afferma che siamo impreparati e in ritardo non ha gli occhi onesti, non ha la mente libera e neppure la pazienza, oppure non conosce l’aritmetica», ha detto Domenico Arcuri in una delle tante conferenze stampa, comizi e dichiarazioni pubbliche, non ricordo più se a proposito della distribuzione dei vaccini, di cui si occuperà come commissario all’emergenza (visto il successo avuto con le mascherine prima e con i banchi a rotelle poi), o a proposito dei futuri assetti proprietari dell’Ilva, di cui si occupa come amministratore delegato di Invitalia (obiettivamente non aiuta a distinguere le cose il fatto che il sito di Invitalia apra con la conferenza stampa di Arcuri sull’emergenza Covid e prosegua con la sezione notizie sulle ultime dichiarazioni di Arcuri a proposito dell’emergenza Covid). Essendo anche calabrese, non si capisce come mai il governo non abbia ancora pensato a lui anche come commissario alla sanità in quella martoriata regione.
A ogni modo, secondo Arcuri, dire che il governo si è fatto cogliere di sorpresa dalla seconda ondata, che sono impreparati e in ritardo, significa non avere gli occhi onesti e la mente libera, o non sapere l’aritmetica. Chissà a quali numeri si riferisce. Probabilmente a quell’indice di contagio che ieri faceva dire a Conte, tra una lettera su Babbo Natale e l’altra, che le misure «stanno iniziando a funzionare». Affermazione che dobbiamo tutti sperare abbia maggiore fondamento delle analoghe dichiarazioni rilasciate nel corso dell’ultimo mese dallo stesso Conte, ogni volta, presentando ciascuno dei dpcm precedenti.
Il problema è che allora, quando il capo del governo invitava i ministri più preoccupati a tenere i nervi saldi e ad aspettare l’esito delle misure già prese, confidando nel «monitoraggio» e nel «metodo scientifico» elaborato con i vari comitati e cabine di regia tecnico-politiche, i contagi erano circa un decimo degli attuali. Per essere precisi, quando il 13 ottobre il governo Conte varava il primo dpcm della seconda ondata (di contagi e di dpcm: ne sarebbero seguiti altri tre a distanza di una settimana l’uno dall’altro, peraltro ogni volta ripetendo che per giudicarne l’efficacia si sarebbero dovuti attendere quindici/venti giorni), i nuovi contagi giornalieri erano 5.898. Se davvero i seicento morti al giorno di questa settimana sono conseguenza dei contagi di allora, ora che i contagi sono arrivati a quarantamila cosa dobbiamo aspettarci?
Conte ripete che dobbiamo fare affidamento sul metodo scientifico che il governo si è dato. Tuttavia, presentando l’ultimo dpcm, quello della suddivisione del paese in fasce colorate a seconda della gravità della situazione, il 4 novembre, diceva testualmente: «Attenzione: è anche vero che quando si entra in un’area, in una fascia, non è che si esce perché arriva un dato diverso il giorno dopo, non funziona così. I dati devono appunto stabilizzarsi. Ecco perché abbiamo previsto, sempre sulla scorta delle indicazioni scientifiche che ci sono state suggerite, che ci debba essere una permanenza in quella fascia: almeno quattordici giorni. Non può essere che il giorno dopo arriva un dato diverso, chiaro?».
Dal 4 novembre a oggi di giorni ne sono passati dieci (dall’entrata in vigore delle misure anche meno, ma non c’è bisogno di essere pignoli), e la Toscana, per dirne una, è già passata da giallo ad arancione e da arancione a rosso. Ma sono una decina, vale a dire metà del totale, le regioni che in questa prima settimana sono già passate da una fascia all’altra. Se non vi tornano i conti è perché evidentemente non capite l’aritmetica, o avete gli occhi disonesti, o la mente ingombra. Comunque è un problema vostro.
Quello che è sicuro è che in ogni caso, per quanto la diffusione del virus possa aumentare, per quanto la situazione di ospedali e pronto soccorso possa aggravarsi, al governo nessuno ha la benché minima intenzione di assumersene la responsabilità. E questo è un enorme problema, perché fino a quando si penserà solo a come giustificare le scelte compiute, anziché a correggerle, non abbiamo alcuna speranza di uscire dal circolo vizioso di lockdown interminabili seguiti da vacanze spensierate (ieri l’estate in discoteca, domani il sereno Natale) seguiti da nuovi lockdown. Per parafrasare il titolo di uno sfortunato libro recentemente non pubblicato – quel «Perché guariremo» scritto da Roberto Speranza e arrivato fin sugli scaffali delle prime librerie a ottobre inoltrato, prima di essere frettolosamente ritirato – in questo modo non guariremo mai.
Chi guida il paese in una crisi simile deve pensare ventiquattro ore su ventiquattro a come tirare l’Italia fuori dai guai, non a come tirarsene fuori lui.