È di nuovo quel momento dell’anno. Dall’1 al 5 febbraio l’Italia si beccherà il suo settantaduesimo Festival di Sanremo. Che lo si ami o lo si odi, è innegabile che sarà tra i principali argomenti di conversazione della settimana. Sarà un’occasione per riunirsi – anche in forma ristretta – con altri fanatici dell’Ariston, intenti a ricordare quanto erano belle le canzoni di una volta, a chiedersi «ma che fine hanno fatto i Jalisse?» oppure a twittare commenti sagaci sulla cover di Emma che promette una versione da urlo (speriamo non di terrore) di “…Baby, one more time”. A quelle serate ci sarà sicuramente un divano, tanta allegria e spirito critico, e qualcosa da mangiare. Ma visto che Sanremo è la cartina al tornasole della cosiddetta Italia nazionalpopolare, volete che tra i versi delle canzoni non ci sia del cibo? Abbiamo fatto un po’ di archeologia della canzone italiana per voi.
Non sono tantissime le canzoni sanremesi che hanno messo in musica temi gastronomici. Si tratta piuttosto di citazioni di simboli, come la pizza, gli spaghetti o il caffè. Ad esempio, durante il Festival del 1964, presentato da Aurelio Ferro, il Quartetto Cetra cantò “Sole, pizza e amore”. Gli autori Giacobetti e Savona sintetizzarono in quelle tre parole un po’ tutto lo spirito di una nazione e del vivere all’italiana. Così, scrivendo all’amico emigrato in Germania, gli dicevano: «Caro Doll,/ come va la birreria di Dusseldorf, caro Doll?/ Come mai sempre chiuso in Kaiserstrasse te ne stai, come mai?/ Lascia tutto per favore, prendi l’auto in poche ore,/ arrivare qui potrai,/ troverai tanto sole, tanta pizza e tanto amore».
Rimanendo in tema italianità, non esiste brano più rappresentativo de “L’italiano”. Cantata dall’eterno secondo Toto Cutugno, nei versi si coglieva uno spaccato di cultura nazionale del tutto incontestabile, in cui non potevano mancare gli spaghetti cotti al punto giusto («Buongiorno Italia, gli spaghetti al dente»), né ovviamente il caffè («Buongiorno Italia, col caffè ristretto»).
Anche se nel titolo è citato un frutto, di stereotipi si parla anche in “La terra dei cachi”. Elio e le storie tese la portarono sul palco dell’Ariston, nel 1996, mettendo insieme il caffè («Prepariamoci un caffè, non rechiamoci al caffè»), la pasta («Italia sì, Italia no, Italia gnamme, se famo du spaghi») e la pizza («Una pizza in compagnia, una pizza da solo/ Un totale di due pizze e l’Italia è questa qua»).
Il caffè piace molto agli artisti che vanno a Sanremo. Sarà che sono costretti a berne a litri per sopravvivere a quella settimana intensa. Nel 1969, Riccardo del Turco si chiedeva «Cosa hai messo nel caffè», mentre nel 1981, in “Caffè nero bollente” Fiorella Mannoia cantava «Ammazzo il tempo bevendo caffè nero bollente». Nel brano “Nu juorno buono” (Sanremo 2014) Rocco Hunt spiegava che: «È nu juorno buono/ Stamattina mi ha svegliato il sole/ L’odore del caffè». Ma il vero coffee addicted è Alex Britti, che in “7000 caffè” si sfogava così: «7000 caffè,/ Li ho già presi perché/ Sono stanco di stare al volante/ E vorrei arrivare entro sera da te».
La pizza torna anche in “Yanez” di Davide Van De Sfroos. Piazzatosi al 4° posto nel 2011, cantava i “Pirati” della Riviera romagnola, dove si respirava «Uduu de frituura de pèss e de pizza de purtà via», odore di frittura di pesce e di pizza da asporto, e dove al tavolo non mancano mai «Stuzzichini, moscardini e una bibita de quatru culuur». Chi non ha ricordi di vacanza simili a questo, sta mentendo.
Presentata al Festival di Sanremo del 1961 da Wilma De Angelis, “Patatina” poneva ironicamente il focus sul nostro tubero preferito: «un tiepido raggio di sole, frugando nel verde dell’orto, trovò una cosina piccina così, patata, patatì, patatina come te».
Un altro pallino gastronomico del Festival è il pane, o meglio le sue briciole, come quelle cantate da Povia nella canzone “Vorrei avere il becco”, vincitrice del Sanremo 2006. La protuberanza gli serviva «Per accontentarmi delle briciole». In più: «Più o meno come fa un piccione/ Lo so che è brutto il paragone/ Però vivrei con l’emozione/ Di dare fiducia a chi mi tira il pane». Col suo becco, Povia deve aver mangiato quelle briciole che servivano a I Future, voci del brano “Bricole di pane”, arrivata seconda a Sanremo 1987, dietro Michele Zarrillo («Briciole di pane in un sentiero che sai/ prima non avevi visto mai»).
Sulle patatine e sul pane non può mancare il sale. A cantarlo, negli anni, sono in tanti. Claudio Villa e Dominico Modugno, co-interpreti di “Addio… Addio”, vincitrice del Sanremo 1962, gorgheggiavano: «Il nostro amore, acqua di mare, è diventata sale». Per Marco Carta in “La Forza mia” (vincitrice di Sanremo 2009) l’ingrediente arricchiva «un bacio ad acqua salata che ancora più sete di te mi dà». Se vi sembra troppo, possono sempre passarlo a Luca Barbarossa, che nel 2018 sul palco dell’Ariston presentava la bellissima “Passame er sale”, aggiungendo però che «er sale fa male».
C’è anche spazio per l’alimentazione plant based. Infatti, nel 1952, Nilla Pizzi cantava “Papaveri e Papere”, chiedendo «Papà, pappare i papaveri come si fa?». La risposta: «Non puoi tu pappare i papaveri. Che cosa ci vuoi far, così è la vita». È la seconda edizione di Sanremo e la cantante gareggia con ben tre canzoni: “Vola Colomba”, che arriva prima, “Papaveri e Papere”, seconda, “Una donna prega”, terza. Forse dietro questi successi c’erano «campi di grano che dirvi non so» e «insalata da beccare». Rimanendo in tema vegetale ma più vicino al fine dining, nel 1978 Rino Gaetano svelava che Gianna «aveva un fiuto eccezionale per il tartufo».
C’è anche un po’ di beverage. Nella sua “Soldi”, brano vincitore di Sanremo 2019, Mahmood cantava di chi «beve champagne sotto Ramadan». Ma, scavando un po’ nel passato, abbiamo scovato una perla risalente al primo Festival: “Al mercato di Pizzighettone”, interpretata dal Duo Fasano ft. Achille Tognani. I cantanti raccontavano di questo luogo e di un liquore «che i dolori fa scomparir/ Non per mille, non per cento, ma per poco io ve lo do/ È per tutti, per sani e malati, borghesi e soldati/ Vi posso giurar, la mia nonna lo volle assaggiare/ Si mise a gridare, “Mi voglio sposar”».
Parola intraducibile, proprio come la pizza, il gelato non poteva mancare nella nostra rassegna gastro-musicale. Scopriamo così nel 1989, un giovanissimo Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti, in “La mia moto” cantava e chiedeva «Per me una birra media e per te un gelato». Nel 2018 Gianna Nannini presentava a Sanremo “Fenomenale”. Tra i versi, ce n’era uno che ancora oggi ci scatena un’immediata voglia di gelato e di amori appassionati: «Ballo in mutande, ingannerò l’attesa/ Di un nostro incontro con un gelato all’amarena/ Quello che ieri dalla mia schiena è soffiato via».
Tra i dessert non poteva mancare il babà, che come cantava Marisa Laurito «è una cosa seria». Ma nella sua filosofia, il dolce non era il solo a poter consolare. C’è «l’addore d’a pummarola/ Perché quel che mi tira su/ Songo ‘e zite con il ragù». Del resto, «La fortuna è fugace, si sa/ L’amor, l’amor, l’ammore viene e va/ Ma il maccherone resta/ Non c’è sta niente ‘a fa’». Come darle torto.
A Sanremo si parla anche di cibo che non c’è, come accadeva in “Piazza grande” di Lucio Dalla, cantata durante Sanremo 1972: «Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è sulle panchine in Piazza Grande ma quando ho fame di mercanti come me qui non ce n’è». In “Un grande amore e niente più” (Sanremo 1988), Peppino Di Capri si disperava: «Io, chiedo da bere/ Da una fonte asciugata dal sole». La fame diventa politica in “Non è l’inferno”, brano vincitore Sanremo 2012 cantato da Emma: «Se tu che hai coscienza guidi e credi nel paese/ Dimmi cosa devo fare/ Per pagarmi da mangiare,/ Per pagarmi dove stare,/ Dimmi che cosa devo fare». Una delle opzioni potrebbe essere lavorare. Come sa bene Adriano Celentano, “Chi non lavora non fa l’amore”, ma nemmeno mangia. Il messaggio veniva cantato forte e chiaro nel 1970, quando Adriano Celentano sottolineava come, non lavorando, le cose potessero mettersi male: «A casa stanco ieri ritornai/ Mi son seduto, niente c’era in tavola/ Arrabbiata lei mi grida che ho scioperato due giorni su tre».
Insomma, il cibo è felicità, e noi italiani, da sempre, siamo bravissimi a raccontarla. Nel 1982, pur arrivano secondi, Al Bano e Romina Power hanno sintetizzato la ricetta della “Felicità” in un «bicchiere di vino con un panino». È successo a tutti, pur con questo pranzo apparentemente frugale, di sentire la voglia di urlare di felicità e, magari, di cantare in ogni fibra del corpo. Questa è la vostra settimana: sgolatevi con le cover, polemizzate sui concorrenti e sulle giacche di Amadeus. La felicità arriverà da sola.