Larghe inteseI nuovi equilibri politici del Parlamento europeo rafforzano la maggioranza Ursula

Con il voto della plenaria popolari, socialisti e liberali siglano un accordo di legislatura e si spartiscono le cariche più importanti. I partiti a sostegno della presidente von der Leyen sono ancora più coesi e guadagnano una vicepresidenza, ma aumenta la convergenza verso il centro e si allenta il cordone sanitario verso i sovranisti

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L’annuncio di Roberta Metsola come nuova presidente del Parlamento europeo non ha sorpreso nessuno nell’emiciclo di Strasburgo. L’elezione dell’esponente politica maltese è stata propiziata da un accordo sottoscritto alla vigilia del voto dalle tre principali famiglie politiche dell’Eurocamera: il Partito popolare europeo, i Socialisti&Democratici e i liberali di Renew Europe.

Da questa intesa discende anche la «spartizione» degli altri ruoli di prestigio: i 14 posti da vicepresidente, i cinque da questore e probabilmente i 26 da chair delle commissioni parlamentari, che saranno scelti la settimana prossima dalle commissioni stesse.

L’accordo e le cariche
Il testo è stato pubblicato nella serata di lunedì da Stéphane Séjourné, presidente di Renew, e contiene dieci punti, che vanno dall’applicazione del meccanismo che vincola i fondi europei allo stato di diritto alla strategia digitale, dalla volontà di aumentare le competenze sanitarie dell’Unione fino agli strumenti di politica estera da sostenere: la bussola strategica per agire in autonomia sul piano della difesa e il global gateway per costruire infrastrutture nel resto del mondo.

I gruppi principali dell’Eurocamera hanno trovato un punto di incontro anche sulla questione migratoria, con un impegno comune per il “Pact on Migration” proposto dalla Commissione, ma anche per aumentare le risorse e allargare il mandato di Frontex.

L’ultimo aspetto toccato dal patto riguarda i poteri del Parlamento, che dovrebbe essere eletto in futuro anche tramite liste transnazionali, come richiesto dai cittadini del Panel 2 della Conferenza sul Futuro dell’Europa.

L’applicazione pratica di questo accordo si è vista il giorno seguente: Metsola è stata eletta al primo scrutinio con 458 voti, mentre David Sassoli nel 2019 ne aveva ottenuti 345, ma solo al secondo turno di votazioni. Il sostegno alla popolare maltese è arrivato sicuramente dal suo gruppo, il Ppe, e da parte di quelli della destra radicale, Conservatori e riformisti europei e Identità e Democrazia, che l’hanno preferita alle due candidate di sinistra Alice Bah Kuhnke (Verdi/Ale) e Sira Rego (La Sinistra).

Un tale risultato in termini numerici non sarebbe stato però possibile senza il supporto di una fetta consistente di Socialisti&Democratici (144 seggi) e Renew Europe (100). L’accordo previo al voto ha dunque scongiurato ogni possibilità di formare un fronte progressista all’interno del Parlamento, che boicottasse l’elezione di Metsola per le sue posizioni antiabortiste, come pure aveva suggerito qualche eurodeputato di questi schieramenti.

Un centro sempre più largo
La cosiddetta «maggioranza Ursula», così chiamata perché unita dal sostegno alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ha incrementato la sua presenza nei ruoli chiave del Parlamento: in tutto 11 vicepresidenti tra socialisti (5, fra cui l’italiana Pina Picierno), popolari (3) e liberali (3).

Le modalità di elezione dei 14 vicepresidenti dell’Eurocamera favoriscono i partiti di maggioranza. Se i candidati sono più dei posti disponibili, ogni deputato compila una scheda con 14 caselle, inserendo le sue preferenze: non meno di otto nomi per rendere valido il voto. Tutti i candidati che ottengono la maggioranza assoluta dei voti espressi (cioè più del 50% delle schede valide) sono eletti. Nel caso in cui non tutti i 14 posti vengano assegnati, si passa al secondo scrutinio, con le medesime modalità, ma con un numero ridotto di caselle libere. Dal terzo, invece, basta la maggioranza relativa e ai candidati rimasti in lizza serve ottenere un voto in più degli avversari per conquistare la vice-presidenza.

Mettendosi d’accordo, quindi, le tre grandi famiglie europee potrebbero accaparrarsi tutti i posti a disposizione.

Per ragioni di pluralismo e rappresentatività, tuttavia, anche ai gruppi più piccoli viene riservato un vicepresidente secondo una prassi che poggia sul metodo D’Hondt, un sistema di ripartizione proporzionale: nella prima parte della legislatura c’erano infatti alla vice-presidenza due membri dei Verdi/Alleanza Libera per L’Europa, uno della Sinistra e un non iscritto, Fabio Massimo Castaldo del Movimento 5 Stelle.

Da questa pratica di distribuzione erano stati comunque esclusi i due gruppi della destra radicale. Conservatori e riformisti europei e Identità e Democrazia sono rispettivamente la quinta e la sesta famiglia dell’Eurocamera, ma non hanno eletto nessun vicepresidente a luglio 2019 perché osteggiate dal «cordone sanitario» dei gruppi principali: un’indisponibilità a trattare con partiti dalle idee pericolose per la democrazia europea.

Con le elezioni di medio-termine, i quattro posti riservati alle forze minori del Parlamento si sono ridotti a tre: la finlandese Heidi Hautala (Verdi) e il greco Dimitrios Papadimoulis (Sinistra) conservano il loro posto, mentre lo perdono Castaldo e il ceco Marcel Kolaja, del Partito Pirata (Ale). Uno dei due scranni da vicepresidente finisce a Ecr, l’altro rientra nel pacchetto di maggioranza.

La suddivisione non è piaciuta a molti: «La democrazia non può essere il dominio assoluto della maggioranza», ha detto il co-presidente dei Verdi Philippe Lamberts nel suo discorso successivo all’elezione di Metsola, prefigurando la spartizione poi effettivamente avvenuta e chiedendo alla neo-presidente una riforma del regolamento che assegni le cariche in maniera proporzionale.

Ma sono i socialisti i veri sconfitti di questo nuovo assetto secondo Marco Zanni della Lega, presidente del gruppo Identità e Democrazia. La «contropartita» garantita al gruppo di centro-sinistra per aver rinunciato a correre con un proprio candidato e ceduto di fatto la presidenza ai popolari non è a suo avviso significativa: troppo poco due vicepresidenti in più e la presidenza della Conferenza dei presidenti di commissione, detenuta finora da Antonio Tajani, oltre a quella di una commissione speciale sul Covid19 che sarà istituita nei prossimi mesi.

In effetti, il Partito popolare «guadagna» con la tornata di metà mandato il presidente dell’Eurocamera, e mantiene il primo vicepresidente, l’austriaco Othmar Karas: una posizione dominante che completa la preponderanza popolare nelle istituzioni europee, dalla presidenza della Commissione a quella dell’Eurogruppo.

Il tutto, in un periodo storico che vede i socialisti in ascesa in vari Paesi europei e capaci, al momento, di primeggiare nelle intenzioni di voto a livello comunitario, secondo le proiezioni del quotidiano Politico.

Il nuovo centro-destra europeo, inoltre, potrebbe diventare presto ancora più largo: il sostegno aperto della Lega a Metsola potrebbe anticipare un avvicinamento della delegazione del Carroccio al Ppe. Sul punto, Marco Zanni è rimasto cauto, ma l’auspicio è stato formulato a chiare lettere dalla sua collega Gianna Gancia.

Così come l’elezione a vicepresidente del conservatore lettone Robert Zile con 403 voti suggerisce un chiaro sostegno di Popolari e liberali e incrina la tattica del «cordone sanitario», che finora aveva escluso gli esponenti dei due gruppi della destra radicale dalle cariche più importanti.

Se non un’alleanza strutturale, questa dinamica potrebbe favorire intese di destra su alcuni voti, in grado di mettere in minoranza Verdi e Socialisti, le due formazioni di sinistra che vanno d’accordo su molti dossier.

L’equilibrio del Parlamento, però, passa sempre da Renew Europe. Secondo i dati di voto aggregati, è questo il gruppo più «vincente»: in oltre l’88% dei casi i suoi eurodeputati si sono trovati dalla parte giusta di una votazione. È il centro liberale è l’ago della bilancia della politica europea.

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