I nostri partiti, di ogni ordine e grado consensuale, stanno litigando all’interno dei propri schieramenti su tutto mentre il mondo fuori ha preso una piega drammatica tra guerre e crisi industriali profonde, come quella dell’automobile. Tutti guardano al loro ombelico non avendo il pudore di abbassare le polemiche di fronte ai tanti morti e alle distruzioni delle città ucraine, a Gaza e in Libano.
Non si tratta di essere moralisti, di far finta che nulla stia accadendo dentro il centrodestra e il centrosinistra. Non si può sospendere il dibattito politico, soprattutto quello fisiologico tra maggioranza e opposizione.
C’è però una questione tutta interna agli schieramenti che non si vuole affrontare fino in fondo, rinviando i conti sulle vere divisioni tra gli stessi partiti della maggioranza e dell’opposizione. Sono divisi sulle questioni internazionali, sui giudizi nei confronti della marea nera montante nei Paesi europei. Sulla stessa visione dell’Europa e il suo futuro. La polemica fresca tra Matteo Salvini e Antonio Tajani sul voto austriaco è una rottura di primaria importanza, così come lo è la diversa veduta tra Forza Italia e Lega sull’Ucraina, ma anche su Donald Trump. Il centrodestra non arriva mai al dunque, a un chiarimento vero su visioni tanto fondamentali per un Paese come il nostro, che presume e pretende di essere rispettato.
Non possono farlo perché dovrebbe cadere il governo e tenere il potere conta di più di un chiarimento limpido. Si preferisce la guerriglia di coalizione, fare finta che il problema sia tutto giocato tra percentuali di consenso. Tajani che scavalca Salvini, che blocca gli extra profitti, che si agita a vuoto sullo ius scholae, e poi definisci nazisti i Patrioti austriaci, i cari amici di Salvini che li vuole tutti a Pontida, abbracciati in una ola da stadio.
Giorgia Meloni fa finta che nella sua maggioranza non sia in corso un terremoto mentre invece in lei crescono i sospetti sulle reali intenzioni di Forza Italia, in prospettiva. Sospetti che gli azzurri possano prendere le distanze – o il largo addirittura – sempre più vistosamente nei confronti della Lega, mano a mano che si avvicina la scadenza della legislatura. Per guardare magari verso quell’area moderata di centro che, se dovesse realizzarsi e consolidarsi, sarebbe l’ago della bilancia. È la solita speranza che attraversa e ricompare come un fiume carsico nella politica italiana. Alla fine è un gioco di potere.
Per il momento tutto avviene dentro i compressi schieramenti, allo stesso modo nel centrosinistra dove la polemica è inscenata dai Cinquestelle e dalla sinistra estrema di Avs, mettendo in difficoltà Elly Schlein e fuori gioco Matteo Renzi. Con questi dirigenti, avrebbe detto Nanni Moretti, non vinceranno/vinceremo mai. Anche in questo caso lo scontro, tutto dentro la manica nazionale, nasconde la faglia profonda sempre sulle questioni più ampie. Le vere distanze, anche da questa parte politica, sono sul giudizio della guerra in Ucraina e sulla necessità di sostenere Volodymyr Zelensky con l’invio di armi. Anche sull’Europa le distanze sono abissali, così le incredibili incertezze di Conte tra Donald Trump e Joe Biden. La stessa questione palestinese vede Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli più vicini a chi urla nelle piazze di cacciare gli ebrei dal fiume al mare, cioè spazzare via Israele.
Ambiguità, ipocrisie, tanta polvere sotto il tappeto delle due leadership di destra e di sinistra che lottano per il primato mentre le fiamme, fuori dai piccoli confini, avanzano. Insomma, è inutile discutere se sono giusti o meno i veti di Giuseppe Conte contro Renzi. Così è al limite della teoria politologica disquisire se il centrodestra debba essere a guida moderata, senza chiedere a Tajani di essere esplicito fino in fondo. In sostanza, il leader azzurro dovrebbe avere il coraggio di dire chiaramente che i Conservatori devono ancorarsi in maniera organica ai Popolari e isolare i populisti sovranisti. Ma non è in grado di farlo, anche perché Meloni è in mezzo al guado. E mollare Salvini sarebbe un harakiri.