Nella vertigine delle liste di fine anno non può mancare quella dei libri. È il risultato di una selezione spietata, a volte ingiusta, di sicuro opinabile, spesso fatta correndo il rischio di dimenticare vere e proprie gemme. Ma il 2021 si può raccontare anche attraverso le sue pubblicazioni editoriali, quasi allestendo una vetrina ideale, usando i 21 libri più importanti (non per forza più belli) degli ultimi mesi.
1) Si parte allora da casa propria. “L’era della suscettibilità” di Guia Soncini (Marsilio), che certo fa parte della scuderia de Linkiesta, è la miglior fotografia della follia contemporanea più pericolosa. Cioè quella del politicamente corretto portato all’ennesima potenza, del piagnisteo buono per Instagram, del diritto rivendicato da tutti (ma da chi accordato?) di considerare le proprie fragilità norma costituzionale. Sono 190 pagine in cui dice quello che pensano tutti (almeno: tutte le persone di buon senso) ma lo fa molto meglio di chiunque. Ed è divertente.
2) “Il delitto di Giarre”, di Francesco Lepore (Rizzoli) ritorna invece al 1980, nella campagna di Palermo, per indagare sull’omicidio di Giorgio e Toni, una coppia di ragazzini gay. È da questo episodio e dall’eco che ne scaturisce che nasce il movimento Lgbtq in Italia e parte la lunga marcia per il riconoscimento dei diritti degli omosessuali. In un anno segnato dal naufragio del Ddl Zan è una lettura illuminante, anche solo per le rivelazioni che contiene.
3) In un’annata che, a conti fatti, è soltanto la variante del 2020, ha dominato come è ovvio il tema pandemico. “La società dei chiusi in casa”, di Gilberto Corbellini e Alberto Mingardi è un’antologia di tutte le decisioni sbagliate, anzi disastrose che hanno contrassegnato la risposta al coronavirus. Il sospetto è che abbia alterato i comportamenti collettivi sulla base di dati poco solidi e sia andata a minare l’armonia del vivere comune e, quel che è peggio, le idee di libertà e apertura che caratterizza(va)no le società occidentali.
4) Del resto, è stato un anno difficile sotto molti aspetti. Oltre al contrasto al virus rimane necessario tenere a bada altre minacce come lo sfarinarsi delle democrazie, il montare dei populismi (ebbene sì, non è finita) e le manovre di Russia e Cina. Un’ottima mappa per orientarsi nel caos contemporaneo è “Il campo di battaglia”, di Maurizio Molinari (La Nave di Teseo), che seguendo le linee di faglia della geopolitica contemporanea arriva in Italia, il punto in cui si decide tutto.
5) In aggiunta va letto “Geopolitica della paura”, di Manlio Graziano (Egea). Il professore applica le categorie della geopolitica, appunto, per prendere in esame le conseguenze planetarie del timore diffuso nelle società occidentali. È un libro pieno di dure verità, che forse fanno male ma che, almeno, sgombrano il campo da illusioni e speranze infondate.
6) “Il complotto al potere”, di Donatella De Cesare (Einaudi) fa invece parte di quel filone ipercontemporaneo con cui si cerca di spiegare l’assurdo fenomeno no-vax. La resistenza alla campagna vaccinale, che ha toccato il culmine nei giorni dello sciopero dei portuali a Trieste, è diventata un argomento di discussione e riflessione inevitabile. De Cesare la riconduce alla tetra e morbosa galassia del complottismo, vera malattia senile di un’epoca che – argomenta – pretende che tutto sia spiegabile in termini razionali e non si rassegna al mistero, all’incerto, al caso.
7) In questo senso, “Quando abbiamo smesso di capire il mondo”, di Benjamín Labatut, (Adelphi) ne è la risposta ideale, anche solo per il titolo. Il testo, a metà tra fiction e saggio, racconta le storie e lo stupore intellettuale (ma non solo) degli scienziati che scoperchiarono la natura della materia. Nell’anno in cui il Nobel per la Fisica è andato a un italiano, atomi, energia, calcoli, matrici sono gli ingredienti anche di “Tempo”, di Guido Tonelli (Feltrinelli), che invece guida il lettore in un mondo intricato e complesso, una vera e propria sfida per l’immaginazione e per la comprensione. Quella, appunto, del tempo al di fuori della nostra esperienza.
8) “L’arresto” di Jonathan Lethem (La Nave di Teseo), invece, si ferma un attimo prima. Immagina cosa succederebbe (o cosa succederà) quando la tecnologia si fermerà di colpo. È romanzo distopico, è romanzo politico, è romanzo fantascientifico. Un assaggio in termini concreti è stato il collasso temporaneo di Facebook (e WhatsApp e Instagram), con conseguente diminuzione globale delle comunicazioni . (Ma su come funzionano le cose a Mountain View, in ogni caso, Einaudi ha pubblicato “Facebook. L’inchiesta finale” di Sheera Frenkel e Cecilia Kang).
9) Tornando con i piedi per terra, si incontra qualcuno che ha la mania di fissarli. È Luigi Di Maio e lo si apprende leggendo il suo (primo?) memoir, “Un amore chiamato politica” (Piemme). Va detto: in un anno piuttosto affollato di libri scritti da politici, la scelta è stata ardua. Il giovane pentastellato si è misurato con il bestseller – non è ironico – di Giorgia Meloni, “Io sono Giorgia” (Rizzoli), con l’autobiografia di Rocco Casalino “Il portavoce” (Piemme), con “Non mollare mai”, di Danilo Toninelli (pubblicato da se stesso e anche qui non è ironia), con Vincenzo Spadafora e il suo “Senza riserve” (Solferino), con il fuoriuscito Alessandro Di Battista che ha scritto “Contro!” (PaperFIRST) e mille altri ancora, da Stefano Bonaccini a Luca Zaia (il suo “Ragioniamoci sopra”, pubblicato da Marsilio, è forse uno di quelli scritti meglio) passando per Alessandro Zan: “Senza paura”, sempre Piemme. Tuttavia, nonostante la dura competizione, la vittoria va al ministro degli Esteri per meriti evidenti. Il sequel ci dirà se il suo amore per la politica verrà, prima o poi, ricambiato.
10) Sul campo letterario invece le cose si fanno ben più interessanti. “Per pura rabbia”, di Geoff Dyer (Il Saggiatore), oltre a essere un titolo che spiega le scelte di gran parte dell’elettorato italiano, è un’analisi raffinatissima della figura di D. H. Lawrence. Dyer, nel tentativo di scrivere un saggio su uno dei suoi autori più amati, ne segue le orme per il mondo, tra difficoltà pratiche e intellettuali, che diventano occasione per digressioni e pensieri che rendono unico il suo lavoro.
11) In un formato simile, a metà tra ricordi personali e saggio letterario, si colloca un piccolo capolavoro come “Tre anelli” di Daniel Mendelsohn (Einaudi). Un viaggio che incrocia altri viaggi, storie di esiliati e fughe, che diventano per digressione (che è tecnica omerica) un’esplorazione ai confini e alle radici della cultura occidentale, quella più alta, da Omero a Marcel Proust, da Erich Auerbach a W. G. Sebald. In poche parole, un libro stupendo.
12) Visto che si è cominciato a volare alto, va ricordato che il 2021 è l’anno di “Yoga” di Emmanuel Carrère (Adelphi), una sorta di libro-seminario sulla pratica della meditazione, sul disturbo bipolare, sulla psichiatria e sui demoni interiori dello scrittore francese. Sono cose toste ma, come è stato detto, con la sua scrittura renderebbe interessante anche l’elenco telefonico.
13) “Nova”, di Fabio Bacà (Adelphi) è un ritorno inatteso e sorprendente. È una storia della provincia italiana, una storia di demoni interiori, una storia di cambiamento. Soprattutto è una storia di tranquilla violenza: ci sono un maestro, un apprendista, un percorso iniziatico e la scoperta del valore delle responsabilità e delle scelte.
14) Un altro ritorno è quello di Alessandro Barbero (prima delle varie gaffe), che con “Alabama” (Sellerio) si immerge nell’atmosfera della Guerra Civile americana. Lui giura che non c’entrano le proteste in America del 2020, con le statue abbattute e le rivendicazioni storiche. Ci crediamo, ma la coincidenza sorprende. Il libro è una fittizia rappresentazione, in presa diretta, dei discorsi di un vecchio confederato, forse responsabile di un eccidio di neri, mentre parla con una studentessa che sta lavorando a una tesi di storia. Nel linguaggio duro del vecchio cowboy viene ritratta la vita prima della guerra, certo fatta di campi di cotone, schiavitù e soprusi. Ma anche di un’etica condivisa, rude e fondata su onore e rispetto.
(Sellerio ha fatto un ottimo lavoro, del resto, anche soltanto pubblicando la traduzione del monumentale “Mercanti di verità”, di Jill Abramson e del dettagliatissimo “Il Partito Radicale” di Gianfranco Spadaccia, senza contare il romanzo “I miei stupidi intenti”, esordio di Bernardo Zannoni).
15) Il vincitore del premio Strega, si sa, è stato Emanuele Trevi. Il suo libro, “Due vite”, (Neri Pozza) è senza dubbio pregevole. È un caso di scrittore che parla di due scrittori, che in questo caso sono anche suoi amici, entrambi morti. Lo spirito è quello della riparazione. Il ricordo mira a correggere, con rimpianto, gli atti mancati nella vita vissuta insieme. Vuole scacciare l’amarezza delle incomprensioni, ammettere qualche vigliaccheria e, insomma, fare i conti. Un po’ con se stesso, un po’ con il sistema editoriale, che aveva ignorato i loro testi, meritevoli di ben altra attenzione.
16) Anche “La foglia di fico” di Antonio Pascale (Einaudi) insegue i rapporti del passato, cioè amori e amicizie vissuti all’ombra di alberi e di fiori. È un romanzo che, con la scusa di raccontare le particolari proprietà dei vegetali, si inoltra nella natura umana e suggerisce che forse piante e persone non sono così distanti. Un gioiello, malinconico quanto basta.
17) Sul tema amore, però, non si può non leggere il miracoloso “Eros il dolceamaro”, di Anne Carson. Lo ha pubblicato la casa editrice Utopia (a quanto pare nata per stampare solo libri bellissimi). Un saggio dalla prosa avvolgente, indagine che affonda alle origini del concetto di amore – che nasce, per come lo conosciamo oggi, insieme ai lirici greci. È la mappatura di una rivoluzione dell’anima che arriva a influenzare il modo in cui viviamo anche oggi. E spiega perché le parole con cui Saffo tratteggia il terrore e la dolcezza dell’amore tocchino ancora tutti nel profondo.
18) “Il lettore sul lettino” (Einaudi) di Guido Vitiello è tutto un altro registro, ma mantiene lo stesso piglio colto. È un’analisi-elenco-fenomenologia delle abitudini, strambe anzi stranissime, di chi ha la passione o la malattia dei libri. Non a caso su Internazionale tiene la rubrica “il bibliopatologo”, necessaria guida ai perplessi della lettura.
19) Rispetto al celebratissimo “Crossroads”, di Jonathan Franzen (Einaudi), il primo ambizioso volume di una saga di tre, in cui lo scrittore americano sceglie di scendere a patti con il lettore – abbassando, dantescamente, il livello dello stile – si consiglia “Jack” di Marilynne Robinson, che invece una tetralogia la chiude. E consegna al mondo una parabola di portata biblica calata nella dimensione umana – ben lontana dalle fisime superficiali di un pastore di provincia in una famiglia sfaldata.
20) Matteo Codignola firma “Cose da fare a Francoforte quando sei morto”, (Adelphi) che chiude la rassegna dei libri che parlano di libri. Anche perché parla di chi i libri li fa, cioè gli editori, gli agenti, i publisher. Quel mondo il cui lavoro spesso sfugge ai lettori, i quali – purtroppo per loro – si perdono migliaia di storie bizzarre, strambe, assurde e divertenti. Un mestiere come un altro? Per niente.
21) È tempo di tornare in scuderia. Ecco allora “Menu risorgimento”, il primo libro di Gastronomika, il dorso dedicato al food de Linkiesta. È un libro che racconta un pranzo, per l’esattezza quello imbandito nel 1911 in occasione del cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Ricostruisce le ricette, i cibi, le bevande e sullo sfondo la nostra storia. Perché qui si fa l’Italia, o si mangia.